Ecco l’arma segreta di Hollande, il grande favorito senza carisma

by Editore | 20 Aprile 2012 9:18

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Davvero il prossimo presidente di Francia, il capo della seconda potenza
europea con alle spalle «settanta re e sette secoli di sangue» e con la «force de frappe» nucleare, sarà  quest’uomo sovrappeso, molliccio, pelatino,
con gli occhiali e senza più voce, che ha fatto per undici anni il segretario di partito ma non ha amministrato nemmeno un bistrot, tutto tecnica politica e niente carisma?
Non c’è un sondaggio che non lo dica. Non c’è un militante socialista, tra quelli riuniti qui a Bordeaux, che in fondo al cuore ne sia davvero sicuro. Compreso lui: «Non fidatevi dei sondaggi…». Ma Franà§ois Hollande ha un’arma segreta che lo rende quasi imbattibile: Nicolas Sarkozy.
L’ex segretario socialista è in testa a tutti i sondaggi per il secondo turno di domenica 6 maggio (il primo è dopodomani) proprio perché è un leader rotondo, in tutti i sensi. Non suscita entusiasmi, ma neppure veti. Non si fa amare, ma neppure odiare. In una ricerca dell’Ipso, supera Sarkozy per simpatia, onestà , sincerità , competenza, coerenza. Perde nettamente solo alla voce «statura presidenziale» (appena il 46% gliela riconosce, contro il 62% di Sarkozy).
Non a caso, ieri l’ultimo grande comizio di Hollande è stato più una festa campestre che un’incoronazione. Quanto di più diverso dalle rappresentazioni drammatiche che il presidente in carica va inscenando ogni giorno in ogni angolo della Francia. Sarkozy si fa introdurre da musiche tipo Armageddon, immagini di carri armati e bombardieri con la coccarda tricolore, un video con i potenti della terra. Hollande compare al suono di un’orchestrina multietnica con matronali vocalist africane, proietta le sue foto da ragazzo, nel video va al mercato e compra baguette. Sarkozy grida la Marsigliese a pieni polmoni, Hollande la sussurra. Sarkozy agita. Hollande tranquillizza. Il messaggio del presidente è: le cose vanno già  male, se si cambia andranno peggio. Lo sfidante sostiene che le cose possono solo migliorare; proprio quello che i francesi vogliono sentirsi dire. Se si considera poi che Sarkozy è il presidente più impopolare della Quinta Repubblica, si capisce perché la sinistra non è mai stata così vicina all’Eliseo dai tempi di Mitterrand.
Evocare la vittoria del maggio 1981, però, è davvero fuori luogo. All’epoca il leader socialista voleva «cambiare la vita» e «rompere con il capitalismo»; ora il suo erede vuole rompere con la Merkel. Mitterrand abbassò l’età  della pensione a 60 anni, aumentò le ferie a 5 settimane, introdusse la patrimoniale, nazionalizzò Pechiney, Dassault, Matra, Rhone Poulenc, Saint-Gobain, Usinor: un terzo della Francia divenne dello Stato. Hollande promette o minaccia molto meno. La sparata propagandistica di portare al 75% l’aliquota oltre un milione di euro servirà  solo a rianimare il mercato degli immobili a Montecarlo. L’ex premier Laurent Fabius, che dopo il suicidio politico di Dominique Strauss-Kahn resta l’intelligenza più sottile della sinistra francese e ora punta agli Esteri, ha già  smontato le misure più populiste del programma: aumentare l’Iva solo sui prodotti di lusso? Non si può, l’Europa lo vieta. Imporre un rapporto massimo di 1 a 20 tra il salario dell’apprendista e quello del capo azienda? Non si può, le imprese private pagano i loro dirigenti quanto vogliono. Così Hollande si accontenta di mandare a tutto volume al comizio la sua cantante preferita, Zaz: «Una suite al Ritz? Non la vorrei! I gioielli di Chanel? Che ne farei?».
La vera discontinuità  sarà  in Europa. Il candidato socialista ha annunciato la fine o almeno la revisione dell’asse con la Merkel. Non a caso la Cancelliera si è molto esposta a favore di Sarkozy, che l’aveva pure invitata a fare comizi insieme; poi, vista la reazione degli elettori, ha lasciato perdere. In questo momento storico, l’insofferenza per i tedeschi prevale su quell’ammirazione inconfessata che cova nell’animo dei francesi. Hollande l’ha capito e anche ieri ha ripetuto che l’accordo sul fiscal compact è da rifare: no al pareggio di bilancio in Costituzione, sì a nuove misure per la crescita. «Vi faccio una confidenza: pure qualche leader conservatore mi ha detto che spera nella nostra vittoria, per far saltare l’austerity europea».
A Cenon, nella banlieue di Bordeaux, sulla strada per Bergerac, Hollande ha speso l’ultimo filo di voce. Per una volta ha nominato Sarkozy: «Di solito lo chiamo candidato uscente, ma non per mancanza di rispetto, per non infierire; quando dicevo il suo nome, ogni volta si levavano grida e fischi. Io invece posso andare a piedi dappertutto, senza grandi scorte, e continuerò a farlo dopo il 6 maggio. Lui dice che sente alzarsi un’onda? Ha ragione, e la prenderà  in faccia». Hollande gioca la parte del «candidato normale» contro l’anormalità  di questi cinque anni: «Un presidente a zig-zag, tutto eccessi, sempre presente mai efficace. Ora insegue Marine Le Pen e parla solo di burqa, imam, carne halal. Io parlo di diritto di voto per gli stranieri, diritto di finire la vita con dignità , diritto per le coppie che si amano di sposarsi».
Lui, Ségolène Royal non l’ha mai sposata, anche se da lei ha avuto quattro figli. A Bordeaux l’ha nominata una volta sola. Nel libro-manifesto della campagna, «Cambiare il destino», le dedica una riga, contro le pagine commosse sulla madre, assistente sociale morta tre anni fa, e sul padre, medico, uomo di destra, sostenitore dell’Algeria francese. Ieri al suo fianco c’era la nuova compagna, Valérie Trierweiler, giornalista di Paris Match, che sul telefonino è registrata come «mon amour». I contatti con la Royal li tiene il primogenito Thomas, avvocato, 27 anni, simpatico e alla mano come il padre.
«Mi dispiace lasciarvi…». Hollande chiude il comizio invitando a non disperdere il voto a sinistra. È preoccupato dall’avanzata di Jean-Luc Mélenchon. Lo atterrisce l’idea di governare con trotzkisti e comunisti, di venire a patti con candidati il cui programma è «lavorare il meno possibile e guadagnare il più possibile»: come non essere d’accordo? Per questo ripete che «non ci sono due sinistre, una idealista e una opportunista; la sinistra è una sola, quella di Blum, Mitterrand, Jospin, Mendès-France», e forse l’antenato che sente più vicino è proprio il riformista che governò gli anni della decolonizzazione. «Ho bisogno di essere in testa al primo turno, per riunire e riconciliare la Francia al secondo» conclude; e 4 istituti su 5 in effetti lo danno in testa già  domenica.
La sinistra si avvicina al potere quasi senza crederci, certo senza entusiasmo. I due giornali che sostengono Hollande, Le Monde e Libération, durante le ultime presidenziali avevano aumentato le vendite del 7,4 e del 7,9%; ora le vedono calare del 2,2 e dell’1,3 (mentre il destrorso Figaro cresce). Lui commenta: «Preferisco vincere con un po’ meno di euforia, che perdere con molto più fervore». Però l’idea di arrivare all’Eliseo sull’onda dell’antisarkozismo lo innervosisce; così, quando il ministro della Cultura Frédéric Mitterrand, nipote del presidente, l’ha avvicinato in pubblico fidando sull’abituale bonomia di Hollande, si è sentito gelare: «Lei il 6 maggio non sarà  più al suo posto». Non c’è un autentico movimento popolare a sospingerlo. La sua speranza è che la maggioranza dei francesi si comporti come il grande malato Jacques Chirac, il quale in un momento di lucidità  ha fatto sapere agli intimi che voterà  Hollande, con questa motivazione: «In tutta la vita nessuno mi ha mai fatto tanto male quanto Sarkozy».

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