E Virgilio cercò rifugio nell’atmosfera agreste

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Una prova ulteriore che si debba cercare nelle pagine della letteratura greca il punto di partenza della cultura europea occidentale viene offerta dall’analisi delle Bucoliche. Non a caso la principale fonte di Virgilio, ossia la poesia teocritea, rimase sempre nell’ombra. Autori come Dante, Tasso, Marino, Mallarmé composero versi idilliaci seguendo Virgilio. Mentre invece Teocrito, che visse tra la fine del IV e la prima parte del III secolo a. C., risulta un modello impalpabile. Il motivo? Il merito va ascritto all’abilità  di Virgilio nel rendere originale la propria opera e, in misura non secondaria, alla forza internazionale della lingua latina. Anche se Teocrito fu probabilmente il maggiore poeta dell’età  ellenistica.
D’altro canto, fino alla decisione del giovane Virgilio di cimentarsi in una poetica agreste, Teocrito non veniva considerato fonte di aemulatio dagli altri autori latini. La cultura romana decisamente cosmopolita, raffinata, metropolitana, aveva trovato altri modelli, non così apparentemente semplici, nostalgici, statici come i canti dei mandriani. Nella scelta di questo genere sta la grandezza di Virgilio, che innovò gli schemi della poesia rurale greca sino ad appropriarsi di Teocrito, identificandosi nei suoi Idilli. Non fu un processo solo di carattere imitativo, ma s’instaurò un rapporto simbiotico d’inconsueto risultato poetico. Appena varcati i trent’anni Virgilio terminò il libro pastorale, scritto tra il 42 e il 39 a. C., reso pubblico col titolo di Bucolica, in greco Boukolikà , ossia «Canti dei bovari», il primo frutto dell’arte poetica di Virgilio.
Le Bucoliche, dette anche Ecloghe, in greco Eklogai ovvero «poesie scelte», sono costituite da una raccolta di dieci componimenti esametrici, proposti non in ordine cronologico di scrittura, che vanno da un minimo di 63 a un massimo di 111 versi, per un totale di 829 esametri. Il contenuto è variegato e dissimile, spesso abbonda di riferimenti autobiografici. La prima e la nona ecloga parlano delle confische delle terre, con richiami alla campagna mantovana cara all’autore. La seconda del lamento d’amore del pastore Coridone per il giovine e leggiadro Alessi. L’ottava è una gara di canto divisa in due storie d’amore infelice. La decima narra il canto consolatorio della Natura per il poeta elegiaco Cornelio Gallo, che soffre abbandonato dall’adorata Licoride: una disperazione amorosa anticipatrice della tragedia di Didone. La terza e la settima sono gare poetiche tra mandriani. La quinta piange la triste morte del mitico pastore siciliano Dafni, che ottiene l’apoteosi, assunto in cielo con le altre divinità . Nella sesta Sileno racconta la nascita del mondo.
La quarta ha un tono profetico ed è l’unica a non trattare argomenti pastorali. Rivolgendosi al console Asinio Pollione, l’autore annuncia l’avvento di un nuovo ciclo cosmico. L’inizio della nuova era coincide con la nascita di un fanciullo prodigioso, che realizzerà  una rinnovata età  di pace e felicità . Di chi si tratta? Forse il figlio dello stesso Pollione, il quale aveva propiziato nel 40 a. C. la pace di Brindisi tra Ottaviano e Antonio? O forse il possibile erede del matrimonio di Antonio con Ottavia? Di certo non l’interpretazione medievale di un Virgilio mago e profeta del cristianesimo, una leggenda giustificata solo da uno spirito quasi religioso che corre lungo l’intera ecloga.
Di fronte alla vita frenetica dell’Urbe e alle tragedie di conflitti intestini, Virgilio scelse d’immergersi nella meditazione e nell’attività  contemplativa, senza per questo disinteressarsi totalmente degli eventi politici. Aderì all’epicureismo, che offriva la possibilità  di placare l’animo travagliato attraverso una serenità  interiore. Luogo ove trovare rifugio per gli animi nauseati dalle temperie della realtà  coeva.
Tale straordinaria originalità  svincola le Bucoliche dai testi pastorali greci e le rende opera autonoma, a loro volta un insuperato modello per la poesia italiana ed europea, un classico capace di influenzare autori di tutti i tempi, passando da Sannazzaro a Boiardo, all’Aminta del Tasso, Shakespeare, l’Arcadia, Alexander Pope, Salomon Gessner, Leopardi, Zygmunt Krasinski, le Myricae del Pascoli con il riferimento esplicito del titolo al secondo verso della quarta bucolica nell’invito a conservare toni dimessi, bassi come le tamerici. E ancora George Sand, Mallarmé, d’Annunzio, senza dimenticare la lirica «Egloga» presente negli Ossi di seppia di Montale.


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