Due fotogrammi sospesi nel tempo

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Ci sono immagini indelebili nel racconto del 1977 che, prima «della Storia», hanno cambiato il tempo alle vite dei fotografati. «Paolo e Daddo» si pronunciava tutto attaccato, come fosse un film, un fumetto, un racconto, un luogo di memoria. Poi quella storia rimase per anni relegata in pochi volumi o in leggende tramandate dai singoli. Passato tanto tempo, in cui tutto era cambiato, quei racconti sono riapparsi in due foto di Tano D’amico. Due nuove immagini del 2 febbraio del ’77: Daddo torna sui suoi passi per soccorrere il compagno Paolo ferito dai proiettili. Tano per venti lunghi anni ha tenuto per sé quegli scatti. La forza delle immagini ha bisogno che autore e soggetto si riconoscano. 
Volendo riscattare l’uso – da Daguerre in poi – della foto come prova d’accusa, l’autore a distanza di tempo dimostra ancora la sua radicale concezione della fotografia: un’immagine figlia dei momenti alti della storia, dei grandi pittori o degli artisti. Nel divorzio epocale tra movimenti e immagine, con reporter spesso acritici o interessati ad un gioco a ribasso, D’Amico si «perdeva» nelle pinacoteche, nei libri, ritrovando le immagini della bellezza, della dignità , dell’umanità  dei «senza potere».
Il movimento del Settantasette per Tano D’amico, autore nel volume collettivo Paolo e Daddo (DeriveApprodi, pp. 168, euro 20) di uno scritto privo di alcuna ipocrisia, fu la ricerca e la realizzazione di immagini «altre», capaci di riequilibrare o di riparare alla inadeguatezza di rappresentare quelle nuove istanze.
La memoria storica di quell’anno è stata liquidata quasi interamente e rimane schiacciata, nell’ufficialità  anche linguistica, da una specie di blocco pesante – «di piombo» – trasmesso interamente con la sua ipoteca repressiva fino alle attuali generazioni nel caso domandassero eguaglianza e indignazione. Certo violenza e uso delle armi non furono, come per il secolo che conteneva quel decennio, degli epifenomeni. Ma le immagini «ufficiali» per esorcizzare quella complessità  rendevano gli antagonisti dei mostri, spogliati della propria cultura, che tornavano ad essere strati sociali emarginati, la «canaglia» di sempre.
Il set della giornata
Tornando alle foto che compongono il volume, le premesse del «set» di questo album sono gli avvenimenti della mattina del primo febbraio 1977 quando a Roma nella città  universitaria piomba un centinaio di fascisti armati; respinti dagli studenti i giovani fascisti sparano e colpiscono due ragazzi, ferendo gravemente alla nuca lo studente Guido Bellachioma. Come immediata risposta viene occupata la facoltà  di Lettere. Ma le università  italiane sono già  in agitazione da mesi: il 3 dicembre del ’76 la circolare Malfatti (allora ministro della Pubblica Istruzione) vieta agli studenti di sostenere più esami riferiti alla stessa materia, smantellando di fatto la liberalizzazione dei piani di studio in vigore dal ’69. Il 2 febbraio, giorno successivo all’attacco fascista , un corteo partito dalla Sapienza assalta  e incendia la non lontana sezione missina del Fronte della Gioventù di via Sommacampagna. Poco dopo, mentre i manifestanti si dirigono verso la facoltà  di Magistero occupata, in piazza Indipendenza, piomba sulla coda del corteo una 127 bianca da cui escono due uomini «in borghese» con le armi in pugno: dopo pochi istanti dalla macchina e da diversi punti della piazza esplode una sparatoria dove rimangono gravemente feriti due studenti, Paolo Tomassini di 24 anni, Leonardo (Daddo) Fortuna di 21 anni e uno dei giovani passeggeri dell’autovettura che si rivelerà  un agente in «abiti civili». Le squadre speciali di Francesco Cossiga fanno la loro prima plateale apparizione.
Questa la cronaca di quella giornata. 
I due studenti erano una sorta di protezione armata al corteo che doveva intervenire in casi estremi. Scambiarono i due agenti armati di mitra per fascisti e spararono. Le mitragliate spezzarono una gamba a Paolo e un arto superiore a Daddo che in carcere, privo di cure adeguate, perse di quel braccio quasi dieci centimetri. Nel 1980 dopo tre anni di detenzione, nel pieno disfacimento del movimento del Settantasette e una gran somma di disastri e tragedie, saranno condannati a quattordici anni e sei mesi di carcere. 
Le tribù del movimento
Libro di autori vari, come altrimenti non poteva essere, Daddo e Paolo è un testo volutamente parziale che, volgendo indietro lo sguardo, libero da ambizioni di natura storiografica. Avvalendosi di diversi contribuiti (Caminiti, D’Aguanno, Davoli, Filaccia, Perna, Battaglia, Vecchi e Tano D’Amico) racconta una biografia singolare, un «noi» doppio registro di storia e «tribù di movimento». Dopo 35 anni il taglio è del tutto soggettivo con l’onestà  di non edulcorare felici colpe ed encomiabili errori. Il 2 febbraio risulta quindi una falsa partenza rispetto ad una resa dei conti all’interno della sinistra che avverrà  il 17 febbraio con la cacciata di Luciano Lama dalla Sapienza di Roma. La definizione di provocatori «oggettivi» e «soggettivi» sarà  una lunga e pavloviana eredità  per qualsiasi soffio di piazza.
Gli autori del volume sicuramente rifuggono dal ricordare gli anni Settanta, «autoassolvendosi», come una sola e grande repressione ma al contrario segnano come l’effettivo contropotere di quella articolazione sociale e culturale, esercitò per anni grandi egemonie che intimorirono il resto degli apparati statuali.
Il Settantasette seppe cogliere le violente trasformazioni dell’organizzazione del lavoro che portò, tra le classi e dentro la classe, alla generalizzazione quotidiana di un conflitto politico e culturale. Il precariato e la nuova forza del lavoro immateriale, sperimentando forme di aggregazione dirompenti ed esemplificando lo scontro che si ramificò in tutti i luoghi del sociale, si presentarono inizialmente come soggetti di un potere radicale. Queste foto ci parlano di una nuova epoca. Di un nuovo soggetto sociale che in quell’anno si presentò carico di forza politica. Dentro ad ossimori storico sociali e totali fraintendimenti, verso la barbarie moderna nell’essere comunisti si incrociava ancora la sostanza di cose sperate. Persino l’antifascismo, sedimentato nel vissuto dal Sessantanove come parastatualità , appariva contradditorio. I fascisti, inessenziali nello sviluppo, pur messi nella condizione di non nuocere rimandavano ad altro. 
Tra presente e futuro
La fine di quell’epica contemporanea fu il frutto avvelenato di un ostracismo politico-istituzionale da un lato e l’accellerazione di derive armate che annichilirono gradualmente i comportamenti collettivi, interiorizzando in migliaia di persone gli effetti di una sconfitta, amplificata anche dal mutamento delle tecnologie comunicative. L’immaginazione scivolava, azzerando vissuti e linguaggi, nell’orrido del conformismo e del consumismo. La foto di gruppo di quell’anno, uno «strano movimento di strani studenti», ci dice che erano il futuro ma anche la volontà  di non perdere il presente.
Questo libro è anche una storia privata, un omaggio a Leonardo Fortuna «Daddo», scomparso nel febbraio del 2011. A distanza di tempo si può cercare ancora il modo di vedere come questo guardava il suoi anni. La sua immagine fa ancora parte di un tempo un cui un «Noi», un pronome storico sgomentava i potenti.
Dopo Dà¼rer, Grà¼newald, Tano D’Amico e altri ancora, sappiamo che esistono differenti visioni. Immagini che si compongono da sole vivono del mondo della giustizia e della memoria. Guardando quelle foto si ritorna sul luogo di quelle emozioni, sentendo il bisogno di immaginare il tempo di quella persona. Quei volti come guardavano? Pensare quale sia stato il loro futuro. O i futuri alternativi. Anche del movimento del Settantasette.


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