Dopo la vittoria, la nuova era di San Suu Kyi

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Lei stessa ha preso una valanga di voti nel seggio di Kawhmu, dove era personalmente candidata: il 90% o forse l’85%, e in ogni caso è una vittoria talmente schiacciante da stupire perfino. La svolta non potrebbe essere più netta: fino a poco più di un anno fa Aung San Suu Kyi era agli arresti domiciliari, dove è stata prigioniera buona parte degli ultimi vent’anni mentre il paese era sotto una dittatura militare ferrea. Oggi è un deputato e guida una piccola pattuglia di opposizione in parlamento. Perfino a Napidaw, la nuova capitale costruita dai militari, abitata esclusivamente da funzionari dello stato, i candidati della Lega per la democrazia hanno vinto su quelli del partito creato dai militari – non è ancora chiaro se tutti i 4 seggi o solo 2, ma è difficile pensare che dei funzionari dello stato contravvengano alle disposizioni di voto: segno che il controllo del regime scricchiola, lo scontro tra fautori del dialogo e oltranzisti lascia voti in libertà ? 
«Spero che questo sia l’inizio di una nuova era per la Birmania», ha dichiarato ieri Aung San Suu Kyi, rivolgendosi ad alcune centinaia di persone ieri a Rangoon – mentre stuoli di giornalisti stranieri, per la prima volta ammessi a seguire la campagna elettorale e il voto (anche questa è una novità  in Birmania), raccoglievano commenti speranzosi: lei cambierà  il paese, ci porterà  fuori dalla povertà . Figlia dell’uomo ricordato come fondatore della patria, il generale Aung San (ucciso però proprio all’alba dell’indipendenza), la 66enne Suu Kyi incarna agli occhi dei birmani l’aspirazione a pace, libertà  e sviluppo che cinquan’anni di governi militari hanno bloccato.
Le elezioni di domenica non alterano il potere reale in Birmania: erano in gioco 45 seggi su 664, dunque l’80% del parlamento eletto nel 2010 è saldamente controllato dai militari – a quelle elezioni la Lega per la democrazia non aveva partecipato, giudicandole una farsa, così come aveva rifiutato di avallare la Costituzione emanata dai militari nel 2009, che lascia loro poteri sconfinati. I militari restano in pieno controllo del paese, le grandi infrastrutture, l’economia. Ma il voto è stato un passaggio di una «transizione» concordata: ora Aung San Suu Kyi ha un ruolo ufficiale. 
Ora tutti sperano che questo passaggio porti alla fine delle sanzioni verso la Birmania. Lo sperano i militari birmani, i governi delle nazioni occidentali, e il mondo degli affari. 
La segretario di stato Hillary Clinton ieri si è congratulata con la Birmania e ha ribadito che gli Stati uniti sosterranno «lo sforzo del paese verso le riforme»: le elezioni, ha detto, sono il segno che «anche il regime più repressivo può riformarsi». La signora Catherine Ashton, capo della politica estera europea, aveva già  anticipato che le elezioni di domenica «sono un momento chiave nella riconciliazione nazionale e dovrebbero permettere una sostanziale revisione della politica dell’Unione europea verso Myanmar», la Birmania. Ieri Malgorzata Wasilewska, capo degli osservatori inviati dell’Ue, ha detto che il voto è stato «convincente abbastanza», anche se non ha ancora pronuciato il giudizio definitivo. 
«Ora la Birmania può cominciare a raggiungere il secolo asiatico» commentava ieri a Bloomberg News tale Douglas Clayton, capo del fondo di investimenti Leopard Capital, con sede in Cambogia, che ha in progetto di raccogliere 100 milioni di dollari da investire appena le sanzioni saranno revocate. Molti altri signor Clayton sono in attesa.


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