Donne in cerca di giustizia, in marcia a Roma per l’amnistia
Sono madri, sorelle, figlie e nipoti di uomini morti mentre erano sotto la custodia dello Stato. Donne che, loro malgrado, sono diventate protagoniste e simbolo di una lotta impari; che hanno investito tutte le loro risorse finanziarie e umane per ottenere giustizia e verità . Sono Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, Lucia Uva, sorella di Giuseppe, Domenica Ferrulli, figlia di Michele, Grazia Serra, nipote di Francesco Mastrogiovanni, e Cira Antignano, madre di Daniele Franceschi (il carpentiere toscano di 36 anni morto nell’agosto 2010 nel carcere di Grasse), raggiunta durante la manifestazione dalla notizia del rinvio a giudizio da parte della magistratura francese di un medico e di due infermieri.
A loro si rivolge, dal palco improvvisato su un sound system parcheggiato in piazza San Silvetro, Enrico Sbriglia, ex segretario nazionale del Sidipe, il sindacato dei direttori dei carceri, oggi capitanato da Rosario Tortorella, anch’egli presente alla marcia: «Come direttore penitenziario – dice Sbriglia – vorrei dire a Ilaria Cucchi e a tutte le donne che l’hanno preceduta, di perdonarci, perché forse non sapevamo quello che stavamo facendo».
Ma accanto a questi volti dai nomi ormai purtroppo noti ci sono tante altre donne, familiari di detenuti più o meno ignoti. Sono venute da Salerno, da Bologna, dall’Abruzzo, ma soprattutto da Napoli. Dalla città parteneopea sono partiti due autobus pieni, uno organizzato dalla sezione Radicale locale e l’altro «auto-organizzato», di donne sole che ripongono le loro speranze nell’amnistia per poter riavere i loro uomini attualmente detenuti a Poggioreale o a Secondigliano o, peggio ancora, nelle prigioni del nord Italia.
«Le carceri oggi in Italia sono luoghi di inciviltà senza pari e l’amnistia è uno strumento obbligato. Chiediamo giustizia e libertà nel ricordo dell’antifascismo perché deve essere interrotta questa flagrante violazione dei dettami costituzionali», afferma in polemica Marco Pannella, che ha interrotto lo sciopero della fame. In piazza il suo nome viene scandito alternativamente al grido di «giustizia» e «amnistia», perché per i carcerati comuni -non tanto per quelli eccellenti come Alfonso Papa o Cesare Pambianchi, pure presenti – Pannella è il simbolo delle lotte radicali per i diritti civili. Per i sindacati penitenziari, però, «l’amnistia da sola non risolve i problemi». Ne sono consapevoli i tanti sindaci sardi, le rappresentanze della Regione Basilicata, il presidente della provincia di Nuoro, Roberto Deriu, tutti presenti con i gonfaloni, che raccontano di una «giustizia ingiusta» e di «uno Stato che si arrende ogni giorno alla violazione delle leggi». «Un Paese, questo – conclude Emma Bonino -che è carcerato per intero, senza più alcuna distinzione tra chi è dentro e chi è fuori: tutti prigionieri della mancanza di democrazia e di legalità ».
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