by Editore | 22 Aprile 2012 13:06
La scuola Bosina di Manuela Marrone, consorte del leader maximo della Lega Umberto Bossi, all’inizio del 2010 ha chiesto al ministero allora guidato da Maria Stella Gelmini l’avvio della sperimentazione di una sezione di liceo linguistico, nell’ambito di un istituto che recita tuttora nel logo «Scuola bosina, dalle materne alle medie». Fuori dalla stessa parità concessa per gli altri ordini di studi, e con il parere contrario del Consiglio nazionale della pubblica istruzione, la scuola ha avuto comunque l’approvazione del ministero. Un fatto gravissimo, perché esula dal trasparente percorso di assegnazione legato peraltro alla valutazione, nonché ai decreti attuativi conseguenti all’approvazione delle leggi, per privilegiare una corsia preferenziale legata fino a prova contraria a dinamiche privatistiche. E’ vero che il parere del Consiglio nazionale della pubblica istruzione non è vincolante a norma di legge, ma il Cnpi nell’estendere il parere nel merito (adunanza del 26 agosto 2010), scrive che il progetto della scuola «non risponde del tutto ai requisiti previsti dall’art. 11 del Dpr 275/99 per il riconoscimento di curriculi da attivare in chiave sperimentale». Contesta l’assenza di un «profilo educativo culturale e professionale degli alunni». Infine sottolinea che la «soppressione di una materia caratterizzante l’indirizzo di studi non può essere condivisa». La scuola, come si evince anche dal programma pubblicato sul sito, esclude infatti per il biennio la terza lingua, accorpa italiano e latino, e introduce l’inglese insieme a scienze e geografia. In questo modo, risponde all’interesse – sottolinea il documento – «manifestato da enti e istituzioni locali e territoriali» non ben identificati, al «potenziamento qualitativo dell’apprendimento della lingua inglese», piuttosto che «all’effettiva realizzazione della finalità educativa e formativa». Oltre il merito, il metodo. Il Consiglio nazionale della pubblica istruzione infatti a chiusura del documento fa notare proprio «l’intempestività della richiesta in oggetto, atteso che la riforma degli ordinamenti non è ancora avviata – si legge – e che nei fatti ogni eventuale sperimentazione appare anticipatrice di valutazioni ancora da verificare». Ecco perché ha funzionato la corsia preferenziale, e con essa evidentemente il riconoscimento della parità anche per la scuola superiore. Il consigliere nazionale Bruno Moretto fa notare che questa è stata la prima richiesta di sperimentazione presentata in assoluto dopo l’entrata in vigore della riforma Gelmini, e che è stata sostenuta apertamente da Giuseppe Colosio, direttore generale Usr Lombardia, grande sostenitore anche della legge regionale sulla chiamata diretta approvata il 5 aprile scorso dal consiglio regionale lombardo. Il cartello dei coordinamenti dei docenti precari che da Milano a Bari da mesi si batte contro questa la legge ieri è sceso in piazza a Milano, sfilando in corteo dal Pirellone fino a piazza Fontana, per una manifestazione nazionale contro «qualsiasi progetto di regionalizzazione e aziendalizzazione del sistema d’istruzione della Lombardia e in qualsiasi altra parte d’Italia», di cui il sistema di reclutamento dei docenti basato sulla chiamata diretta è un asse portante. Inoltre si salta a piè pari la graduatoria nazionale fatta sulla base dell’abilitazione già ottenuta con i concorsi. Motivo in più per dire no quindi anche a un nuovo concorso nazionale finché non verranno assunti tutti i docenti precari, e a ulteriori tagli ai finanziamenti per la scuola pubblica. Il coordinamento chiede il ritiro immediato della legge regionale, per una scuola «che deve rimanere statale, laica, nazionale, di tutti e per tutti». Perché non sia ridotta a servizio pubblico a domanda individuale, dove ogni opzione in più deve esser pagata dalle famiglie degli studenti.
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