by Editore | 18 Aprile 2012 5:49
MILANO — Oggi il catasto usa i satelliti, ma la sua concezione ha origini antichissime: risale addirittura all’antico Egitto, che aveva bisogno di individuare i confini dei campi dopo le esondazioni del Nilo. Anche i romani per assegnare le terre ricorrevano al sistema delle centuriazioni. La nozione moderna di catasto geometrico particellare, basato cioè su mappe e non descrittivo, nasce però con Maria Teresa d’Austria, l’imperatrice illuminata che lo introduce a Milano nel 1761, anche se ad avviare i lavori per il censimento di tutte le proprietà fondiarie del Ducato fu in realtà il padre, l’imperatore Carlo VI, nel 1718.
Il catasto teresiano costituisce una vera e propria innovazione per l’epoca: per ogni proprietà viene indicato il proprietario, la destinazione di coltura e la stima. E, sulla base di quelle informazioni, si stabilisce l’imposta dovuta. «Tre secoli fa ritroviamo i principi che sono alla base del catasto attuale», valuta Flavio Ferrante, responsabile del sistema cartografico dell’Agenzia del Territorio e tra i curatori di tre mostre sul catasto, inclusa quella in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia.
L’unificazione del Paese rappresenta infatti un momento di svolta. Nella prima metà del XIX secolo il territorio italiano è suddiviso in piccoli stati e province. E nel 1871, a processo unitario concluso, la Relazione del ministro della Finanza censisce l’esistenza di ben 22 catasti differenti, di cui solo 8 geometrici, con una forte disomogeneità nell’individuazione dei beni immobili da tassare e una notevole sperequazione dell’imposta fondiaria. Il nuovo catasto unico italiano viene avviato nel 1886 con la legge Messedaglia, ma per realizzarlo ci sono voluti 70 anni. Il nuovo catasto italiano, organizzato per province come oggi, entra «in conservazione», cioè a regime, nel 1956. E’ basato su una mappa e tre registri. Su un registro c’erano i nomi dei possessori dei terreni; sul secondo registro i dati censuari mentre il terzo registro serviva da collegamento tre i primi due. La difficoltà era tenere aggiornati e sincronizzati i tre registri. Perciò all’inizio i disallineamenti dei dati erano inevitabili, anche perché l’aggiornamento era manuale.
Per aggiornare i registri si ricorreva alla cosiddetta «attività di lustrazione». Ogni 5 anni, un lustro appunto, i tecnici del catasto andavano a fare rilievi sul territorio provinciale suddiviso in 5 parti. Il modello cambia all’inizio degli anni 70, quando due leggi coinvolgono i liberi professionisti nella revisione e adeguamento dei dati. E’ allora che comincia l’alleanza tra catasto e mondo delle professioni, che culmina nel 2010 con l’aggiornamento automatico e in tempo reale dei cambiamenti catastali sui terreni direttamente dagli studi dei professionisti. (Per il catasto urbano resta invece la registrazione da parte dei tecnici del catasto).
L’altra grande svolta avviene con l’informatizzazione degli archivi censuari: sperimentata dalla metà degli anni 80, si conclude nel 2000. E i circa 300 mila fogli di mappe costruiti durante i 70 anni di formazione del catasto diventano «pezzi da museo», oggi conservati gelosamente.
La storia del catasto edilizio urbano è molto più recente: la legge di costituzione è del 1939, poi modificata nel ’48, e completata con un regolamento di attuazione del ’49. Ma le operazioni per portarlo in conservazione sono durate fino all’inizio degli anni 60. Le prime rendite catastali facevano riferimento al periodo 1937-39, e da allora sono state «corrette» soltanto una volta, con riferimento al biennio economico ’88-89. Il modello, però, è rimasto invariato nel tempo. Quello che è stato aggiornato nel corso degli anni è semmai il classamento, cioè le categorie di appartenenza degli immobili. Una riforma del catasto, per censire gli immobili residenziale in metri quadri anziché in vani (per i negozi è già così), in verità era stata tentata con la Finanziaria per il ’97, e il Dpr 138 del ’98 di attuazione di quella riforma aveva perfino previsto i criteri per la misurazione in metri quadri, ma poi non se ne fece nulla.
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