Da Boni alla Rizzi, nel Carroccio si prepara la lista dei «traditori»
MILANO — Esistesse solo il problema Rosi Mauro, si potrebbe stare allegri. Invece all’interno della Lega in queste ore è tutto un fiorire di anatemi contro questo e contro quello, conditi di richieste di espulsione e purghe in piena regola. «Dimissioni!» è il grido che riecheggia tra le mura della casa padana, rivolto a chiunque si sia macchiato negli ultimi tempi non solo di sospetti giudiziari ma anche di colpe politiche. Ma nonostante il montante giacobinismo in camicia verde, nessuno fino a questo momento sembra intenzionato a seguire l’esempio di Renzo Bossi.
«Io le dimissioni le avevo già presentate prima a Bossi e al movimento ma sono state respinte; poi il consiglio regionale ha respinto una mozione di sfiducia nei miei confronti. Quindi…». Quindi Davide Boni, presidente dell’assemblea del Pirellone, resta al suo posto, nonostante l’informazione di garanzia nell’ambito di un’inchiesta per tangenti da parte di imprenditori lombardi.
Alle prese con la giustizia è anche Monica Rizzi, assessore allo Sport sempre in Lombardia, finita in un’indagine per un presunto dossieraggio e per un uso un po’ troppo disinvolto del titolo di psicologa. Ma in queste ore l’accusa principale con cui deve vedersela «Monica della Valcamonica» (così tutti chiamano la Rizzi) è un’altra: l’essere stata pappa e ciccia con Renzino Bossi nel corso della campagna elettorale del 2010, l’essersi legata al clan familiare di Gemonio. Ma Monica ieri ha replicato ai nemici interni con piglio deciso: «Non sono indagata, non c’entro nulla con i conti della campagna elettorale, Belsito nemmeno lo conosco. Dovrei dimettermi per solidarietà o perché qualcuno più che le pulizie sta cercando di fare delle epurazioni?».
Altra presenza fissa nelle «black list» che molti leghisti vanno compilando in questo momento è Marco Reguzzoni: l’ex capogruppo a Montecitorio si è ritirato in questi giorni in montagna, non ha partecipato al gran circo delle dichiarazioni ma buona parte della base lo include nella cordata avversa a Bobo Maroni e sodale quindi di Rosi Mauro. Tanto basta per farne in questo momento un «nemico del popolo», quello almeno che partecipa ai dibattiti su Internet o interviene a Radio Padania.
Come nel vecchio Pci, anche nella Lega il «frazionismo» è considerato peccato capitale e dunque nell’elenco delle persone da allontanare sono finiti gli animatori dell’improvvisata manifestazione di giovedì fuori da via Bellerio quando vennero lanciati volantini che accostavano Maroni a Giuda: ecco dunque il «cartellino rosso» invocato per la deputata vicentina Paola Goisis o per il segretario provinciale di Varese Maurilio Canton immortalati dalle telecamere nell’occasione. Maroni in queste ore è una sorta di icona del rinnovamento; e così c’è chi è andato a rispolverare che nel ’94 Bobo fu colpito da una fatwa (leggi richiesta di allontanamento) perché esitò nel rompere la prima alleanza con Berlusconi. E chi fu promotore della fatwa? L’allora segretario di Varese Giangiacomo Longoni, oggi consigliere regionale: vade retro anche Longoni!
Nessuno è al sicuro se persino Renzo Bossi è stato bersaglio di una richiesta di espulsione da parte del segretario di Brescia Fabio Rolfi; e in queste ore stanno di certo fischiando le orecchie anche al governatore del Piemonte Roberto Cota, macchiato dalla «parentopoli» che ha investito l’ente da lui presieduto.
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