by Editore | 11 Aprile 2012 6:55
PECHINO – Il primo arresto, la demolizione della sua casa, un paio di mesi sotto una tenda piantata in un parco di Pechino, di nuovo la galera, poi la prigionia in una stanza d’albergo senza luce né acqua (tagliate dalla polizia) e ora ancora una cella. Sembrano non finire mai l’odissea giudiziaria e la sofferenza di Ni Yulan, l’avvocatessa disabile che difende gli espropriati che ieri è stata condannata a due anni e otto mesi di carcere assieme al marito Dong Jiqin, che dovrà scontarne due.
La sentenza, per «frode», «disturbo alla quiete pubblica» e «distruzione di proprietà pubblica e privata», è arrivata dopo una detenzione «preventiva» di un anno: la coppia era infatti prigioniera dall’aprile 2011, quando – in coincidenza con le cosiddette «rivoluzioni dei gelsomini» nel mondo arabo – le autorità avevano messo dietro le sbarre una serie di dissidenti e attivisti delle cause più disparate.
Dong Xuan, la figlia di Ni, ha denunciato un processo «assolutamente ingiusto» e ha raccontato che «entrambi i miei genitori sono apparsi molto magri. Non sono riuscita a vedere il volto di mia madre, perché non si è voltata. Era su una sedia a rotelle e sembrava molto debole».
In un comunicato l’Unione europea si è detta «profondamente preoccupata» e ha chiesto il rilascio immediato della cinquantunenne Ni, a causa delle sue condizioni di salute. Secondo Catherine Baber, vicedirettrice del Programma Asia e Pacifico di Amnesty International, «la continua persecuzione contro una coppia colpevole solo di difendere i diritti di altre persone fa venire il serio dubbio se la Cina voglia veramente diventare un paese governato dalla legge, come sostengono i suoi dirigenti, o al contrario dominato dalla paura e dall’intimidazione».
Laureata in legge all’«Università di scienze politiche e giurisprudenza» di Pechino, Ni inizia nel 2001 la sua attività in difesa dei diritti umani. E si occupa di due tematiche delicatissime: prima difendendo alcuni membri di Falun Gong (il movimento spirituale che aveva fatto milioni di proseliti, stroncato dalle autorità alla fine degli anni ’90) e poi assistendo gli espropriati nella compilazione e presentazione di reclami contro le requisizioni, un altro terreno sul quale le autorità della Repubblica popolare non tollerano interferenze, percepite come una minaccia alla «stabilità ». Nel 2002 le viene ritirata la licenza di avvocato. Il 27 aprile 2002 l’arresto mentre prova a filmare la demolizione di case, molte delle quali buttate giù per far spazio alla «nuova Pechino» che avanza radendo al suolo i vecchi hutong (vicoli) e cacciando migliaia di proletari (a volte previo indennizzo) dai vicoli attorno a piazza Tiananmen. Secondo i parenti di Ni e le testimonianze raccolte da Amnesty, la prigioniera viene ripetutamente torturata e i poliziotti le rompono i piedi e le ginocchia. Nel 2008, l’anno delle Olimpiadi, viene infine buttato giù il suo appartamento, nel centro della Capitale.
Forse non è un caso che la condanna di Ni sia arrivata nello stesso giorno in cui, dopo l’intervento della Corte suprema, sono entrate in vigore le nuove norme sulle confische delle terre, un fenomeno che in Cina causa ogni anno migliaia di proteste (come quella, finora vittoriosa, del villaggio di Wukan) e alimenta insicurezza e risentimento da parte dei cittadini, spesso espropriati per fare largo agli interessi degli speculatori edilizi. D’ora in avanti, almeno sulla carta, ogni qual volta le autorità non raggiungano un accordo (compensazione) con i residenti da espropriare o non ottengano il via libera da un tribunale locale, prima di procedere dovranno produrre ulteriori documenti, tra cui una «certificazione del rischio d’instabilità sociale» e «dichiarazioni dei proprietari, così come di chi trarrebbe beneficio diretto dalle espropriazioni».
Lo Stato cerca in tutti i modi, con le buone e con le cattive, di spegnere la miccia accesa da troppi anni di politica della briglia sciolta a vantaggio di funzionari locali e speculatori che, nelle grandi città come nelle campagne, si sono mangiati la terra dei più deboli.
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