Con moglie e due figli, colpito dalla crisi “Vi racconto come abbiamo perso la casa”

by Sergio Segio | 20 Aprile 2012 8:58

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La notizia brutta è che per papà  Andrea, insegnante, gli stipendi non arrivano da otto mesi. L’altra notizia brutta è che il figlio Michele, magazziniere, da dicembre ha perso il lavoro. La notizia bella è che Luisa, la madre, ha trovato un impiego: 7 ore al giorno a compilare pratiche per 150 euro al mese: «Forse – dice con la speranza nel cuore – questo mese mi aumentano lo stipendio e arriviamo a 250». Ovvio che non bastano a vivere in quattro. E Lucia, la figlia piccola, a 13 anni non può certo andare a lavorare. Bisogna pagare l’affitto, 800 euro al mese per un alloggio di due camere e cucina. Ma non ditelo in giro. Non si deve sapere. à‰ un segreto: «I miei genitori – racconta Luisa – ci avevano dato 60 milioni di lire per comperarci l’alloggio, i risparmi di tutta la loro vita. Noi ci abbiamo aggiunto un mutuo da 109 milioni di lire. Ora ci siamo mangiati tutto. La casa abbiamo dovuto venderla. Ci siamo messi d’accordo con chi l’ha comperata: noi avremmo pagato l’affitto continuando a vivere come se fossimo i veri padroni di casa». Una bugia? «Forse, ma chi ha il coraggio di dire ai miei genitori che veniamo qui, alla Caritas, a farci pagare le bollette della luce?».
Inquilini in casa propria e anche clandestini. Nonostante la batosta finanziaria e la fatica di allevare due figli, ogni tanto Andrea e Luisa sorridono: «Siamo venuti in autobus. La mia macchina – dice Lucia – ha 15 anni, 4 fermi amministrativi e un pignoramento. Me l’hanno valutata 200 euro». Andrea ha 46 anni, come la moglie. E’ vittima di una valanga che sta stritolando i bilanci di decine di migliaia di famiglie. E’ la valanga dell’efficienza. Funziona così. Lo Stato taglia i trasferimenti alle Regioni perché bisogna ridurre gli sprechi e tenere a bada lo spread. La Regione dimezza i pagamenti alle Provincie che, a loro volta, non hanno i soldi per pagare i fornitori. Tra i fornitori c’è la società  di formazione per cui insegna Andrea: «Tengo corsi di informatica ai disoccupati, mi pagano 12 euro lordi all’ora per blocchi di 80 ore. In un mese porto a casa 1.250 euro. Non mi pagano da agosto. Sono in credito di 10 mila euro. Ma con il credito non si mangia».
Andrea, come tanti, è stato costretto ad aprire una partita Iva. Risulta un imprenditore anche se è più povero dei disoccupati ai quali insegna. La vita non aspetta. Non aspetta il padrone di casa che pretende ogni mese i suoi 800 euro. Non aspetta l’Enel che minaccia di staccare la luce. «Soprattutto – confessa Luisa – temiamo la società  del gas. Sono i peggiori. Da agosto non ci mandano la bolletta. Se me ne arriva una da 2.000 euro io come la pago? Noi siamo già  in rosso profondo». Infatti sono qui: «Abbiamo pagato le prime due bollette della luce che coprono sei mesi – dice Wally, la volontaria della Caritas – in tutto 462 euro».
Ma come si arriva a questo punto? Fino al 2007 Andrea, Luisa e i loro due figli potevano considerarsi una famiglia benestante. Vivevano nel loro alloggio di proprietà  e pagavano un mutuo a tasso variabile che era partito da 550 euro ed era poi salito fino a 750. Ma loro avevano due salari, in tutto 2.700 euro al mese. Lui lavorava come capo magazziniere in un’azienda metalmeccanica: «Saldavamo le anime in metallo dei sedili delle auto». Anche lei era operaia nella stessa ditta: «Un giorno ho avuto un’allergia agli oli minerali e ho dovuto mollare. L’ospedale ha denunciato la ditta. Così per ripicca il padrone mi ha costretta a licenziarmi». «Da quando hanno trattato in quel modo mia moglie ho cominciato a cercare di andare via da quel posto», racconta Andrea. A fine 2007 la soluzione è un Internet Point nel paese della cintura di Torino dove abitano tuttora. I guai arrivano subito per alcuni assegni andati in protesto ma dopo qualche tempo la situazione sembra migliorare: «Nell’Internet Point – racconta Andrea – facevamo sia navigazione che videogiochi e abbiamo cominciato a tenere corsi di formazione pagati dalle società  di lavoro interinale».
E’ stata la crisi del 2009 ad abbattere l’Internet Point. Mentre gli impiegati di Lehman Brothers facevano gli scatoloni, i conti di Andrea e Luisa hanno cominciato a tornare in rosso: «Da quel periodo il telefono è diventato un incubo. Ogni squillo era un rischio di pignoramento». «L’unica rata che non abbiamo mai saltato – ricorda Luisa – era quella del mutuo. Lo facevo per rispetto ai miei genitori». Una resistenza eroica. Poi, nel 2010, il crollo: «Non ce la facevamo più. Abbiamo dovuto vendere la casa di nascosto. Ci hanno dato 185 mila euro. La banca ne ha tenuti per se ventimila oltre ai 90 mila di mutuo ancora da pagare. Ce ne sono rimasti 75 mila che sono andati via in fretta, per pagare i debiti». Nel 2011 Andrea ha trovato lavoro come insegnante di informatica in una società  di corsi di formazione: «E’ il mio attuale datore di lavoro. Ma da agosto non mi paga». E da novembre Michele, il figlio di 22 anni, ha finito il contratto a tempo determinato: «Era magazziniere, portava a casa 1.500 euro. Poi, finito l’anno, non gli hanno più rinnovato il contratto».
E così eccola qui, l’ex famiglia media negli uffici della Caritas. A sperare che passi anche questa nottata, che la valanga dei tagli a cascata cominci a rotolare al contrario. Ad immaginare un futuro meno provvisorio. «Per adesso – conclude Luisa – l’unica ad aiutarci è la Provvidenza». La Provvidenza? «Certo. L’ho già  notato sa? Quando il frigorifero comincia a svuotarsi il telefono comincia a suonare. C’è chi chiede una piccola riparazione al suo computer, chi vuole una lezione. Andrea risponde, capita che possa portare a casa anche cento euro. Allora si può fare la spesa». Dice così Luisa e sorride almeno un po’. Insiste con l’indice sulle labbra: «Mi raccomando, dell’alloggio venduto non si deve sapere». Poi se ne va, sottobraccio ad Andrea, verso una fermata dell’autobus, nella pioggia di Torino.

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