Cina, la beffa del dissidente cieco evade e sfida il regime su YouTube

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PECHINO – La Cina, scossa dalla misteriosa epurazione politica del leader neomaoista Bo Xilai, assiste allibita alla fuga senza precedenti di uno dei suoi dissidenti-simbolo. L’avvocato Chen Guangcheng, 40 anni, cieco dall’infanzia, eroe della lotta contro gli aborti forzati e le sterilizzazioni coatte, è riuscito a scappare dalla sua casa di Dongshigu, nello Shandong, dove si trovava agli arresti domiciliari da un anno e mezzo.

Domenica scorsa ha eluso la sorveglianza di decine di poliziotti, che da mesi isolano il villaggio,e dopo aver percorso centinaia di chilometri ha raggiunto un rifugio segreto a Pechino. Per quasi una settimana la sua fuga è stata coperta dalle autorità , furiose per una beffa che imbarazza i vertici del partito comunista e che apre uno squarcio inquietante sulla fragilità  del potere alla vigilia della decennale transizione della leadership. Chen Guangcheng, dato per morto sulla Rete, è riapparso ieri in un video-shock su YouTube in cui denuncia i suoi torturatori e si appella al premier Wen Jiabao per avere giustizia. Dissidenti esuli negli Usa e a Hong Kong hanno confermato che il fuggitivo è nascosto in un rifugio «sicuro al 100%», ma si sono rifiutati di confermare se si trovi sotto la protezione dell’ambasciata americana nella capitale cinese.

No comment anche dai diplomatici Usa, preoccupati per la visita della settimana prossima a Pechino di Hillary Clinton e di Timothy Geithner.

Il 6 febbraio, alla vigilia dell’incontro alla Casa Bianca tra Barack Obama e il futuro presidente cinese Xi Jinping, era scoppiato il caso di Wang Lijun, il braccio destro di Bo Xilai rifugiato per due giorni nel consolato americano di Chengdu. Fonti straniere assicurano che Chen Guangcheng si trovi ora in un edificio sotto il controllo Usa. I dissidenti in contatto con lui affermano però che l’avvocato, che nel settembre 2010 aveva finito di scontare una condanna a quattro anni per occupazione del suolo pubblico, «non ha alcuna intenzione di chiedere asilo politico e vuole restare a lottare nel suo Paese». La reazione delle autorità  cinesi, costrette a prendere atto di una inedita falla negli apparati di sicurezza, in queste oreè rabbiosa. Migliaia di poliziotti e agenti dei servizi segreti sono sguinzagliati nella capitale per dare la caccia al dissidente nascosto. Il villaggio di Dongshigu è circondato: soldati e reparti paramilitari setacciano ogni casa e perquisiscono gli abitanti. Bob Fu, presidente dell’associazione «China Aid», in contatto con Chen Guangcheng dal Texas, ha denunciato che reparti speciali hanno fatto irruzione nelle abitazioni dove vivono la moglie, la madre e la figlia del dissidente, oltre che in quelle di tutti i parenti. Li avrebbero pestati con manganelli elettrici, effettuando diversi arresti e impedendo il ricovero in ospedale di un bambino di sei anni. He Peirong, attivista per i diritti umani che ha aiutato Chen a scappare, è stata fermata a Nanchino e condotta in un luogo segreto.

Già  nel 2011, in un video online, l’avvocato-dissidente aveva denunciato l’illegalità  dei suoi arresti domiciliari, subendo poi un pestaggio che aveva coinvolto i famigliari. L’appello diffuso ieri su YouTube dal suo nascondiglio è però un documento sconvolgente sulla repressione cinese e sulla corruzione dei funzionari del partito. Chiamando Wen Jiabao «caro primo ministro», Chen Guangcheng avanza tre richieste: indagare sui pestaggi contro la sua famiglia e sulla sua detenzione priva di accuse, garantire la sicurezza ai suoi cari e punire la corruzione in base alla legge. In un discorso di quasi quindici minuti, tono pacato, occhiali neri, riprese fissea mezzobustoe sfondo neutro in penombra, il dissidente cita nomi e cognomi dei suoi torturatori e degli uomini che per oltre un anno hanno picchiato moglie e figlia, fratturando loro le braccia. «Le chiedo di accertare la verità  dei fatti – chiede a Wen Jiabao – perché questa vicenda disumana danneggia l’immagine del partito». Chen osserva che nessuno degli aguzzini «indossava un’uniforme» e che «molti funzionari avidi percepiscono 100 yuan al giorno per controllarci, dichiarando di agire per conto del partito. Io sono la loro fonte per arricchirsi, la corruzione è enorme e il popolo non l’accetta più». Agghiacciante il finale: «Io sono fuggito – dice – ma la mia famiglia, pur innocente, è in trappola. Mia moglie è stata pestata a sangue, ha bisogno di cure, ma i membri del partito le vietano di andare in ospedale». Pechinoe la leadership comunista, per la prima volta dopo la strage di Tiananmen, accusano un altro duro colpo. E il premier riformista Wen Jiabao, già  ritenuto l’ispiratore indiretto dell’offensiva contro i conservatori vicini a Bo Xilai, è costretto a fare un’altra scelta: coprire la corruzione che demolisce il potere, oppure difendere il dissidente che osa denunciarla pubblicamente appellandosi a lui. Un passo falso obbligato: ma dalla direzione verso cui sarà  mosso, dipende il futuro non solo della Cina.


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