Cessate il fuoco già  a rischio

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Sono momenti decisivi e di grande preoccupazione per la Siria. Questa mattina cominciano le 48 ore destinate, nella speranza di molti, a portare al cessate il fuoco tra le truppe dell’esercito regolare e i ribelli armati, così come stabilisce il piano dell’inviato dell’Onu e della Lega araba Kofi Annan. Le possibilità  che ciò accada però sono minime. Sia per la gravissima situazione sul terreno che per lo scontro «diplomatico» in atto tra il regime e le opposizioni. Domenica Damasco – che ha formalmente accettato il piano Annan – ha chiesto garanzie scritte al cosiddetto «Esercito libero siriano» (Els): rinuncia alle armi una volta che sarà  scattata la tregua e rifiuto dei finanziamenti stranieri promessi dalla conferenza degli «Amici della Siria». Il presidente Bashar Assad teme che, come è accaduto nei mesi scorsi durante la missione degli osservatori della Lega araba, l’arretramento delle forze governative sia seguito dalla presa da parte dell’Els di città  e villaggi. 
La richiesta è stata seccamente respinta dall’opposizione siriana mentre il vice ministro degli esteri della Turchia Naci Koru ieri ha affermato che il termine del 10 aprile «non è più valido». Parole seguite all’attacco armato contro civili siriani che cercavano di entrare in Turchia e che ha fatto almeno due morti e 21 feriti. «Era un attacco diretto contro di noi – ha chiesto Koru – o era una sparatoria al confine?». Ankara ha quindi convocato l’incaricato d’affari siriano al quale è stata consegnata una protesta ufficiale. «Se simili eventi si ripeteranno, deve essere chiaro che noi prenderemo le misure appropriate» ha avvertito Ankara «i cittadini siriani che cercano rifugio in Turchia sono sotto la protezione dello Stato…la comunità  internazionale deve agire per garantire protezione ai civili». Un tono che forse prelude all’imposizione lungo il confine, ma all’interno del territorio siriano, di una zona cuscinetto turca. E’ il primo passo verso la proclamazione di una fly-zone, ossia di un intervento militare internazionale contro Damasco. Invece la Cina, che assieme alla Russia appoggia Damasco, ha esortato il regime di Bashar Assad e l’opposizione siriana a rispettare i loro «impegni».
È il bagno di sangue che preoccupa più di tutto e che ha «scioccato» lo stesso Kofi Annan. È solo di fonte delle opposizioni la cronaca della guerra civile in corso nel paese. Così come i bilanci di morti e feriti. Non è possibile fare verifiche indipendenti. In ogni caso il quadro è drammatico. Le forze di sicurezza siriane, secondo i Comitati di coordinamento locali (opposizione), avrebbero ucciso soltanto ieri 75 persone, tra le quali 17 bambini e 8 donne, in buona parte morte nel bombardamento della città  di al-Latmana, nella provincia di Hama. Diversi feriti, oltre ai due morti, anche nella sparatoria lungo il confine con la Turchia che ha colpito il campo di accoglimento dei profughi siriani. Sempre ieri un cameraman, Ali Shaaban, della televisione libanese Al Jadeed è rimasto ucciso e un giornalista e un altro operatore della stessa emittente sono rimasti feriti da proiettili sparati dalla Siria mentre si trovavano nell’area di confine di Wadi Khaled, nel nord del Libano. Il premier libanese Najib Mikati ha protestato con forza per l’accaduto. A Damasco una donna, Rima Dali, è stata arrestata per aver brandito davanti al Parlamento un cartello rosso con su scritto «Fermate i massacri. Noi vogliamo costruire una Siria per tutti i siriani», stando a quanto riferito un attivista Dib al-Dimachqi. «Alcune persone si sono fermate per applaudire – ha detto – sembrava una piccola manifestazione. Le forze di sicurezza sono arrivate e li hanno arrestati». Ma sparano e uccidono anche i disertori dell’Els. Dodici soldati siriani sono stati uccisi nelle province di Aleppo, nel nord, e in quella di Deir Ezzor, nell’est. I ribelli compiono sempre più spesso azioni di guerriglia contro i convogli militari governativi.
Punta l’indice contro le autorità  di Damasco anche Human Rights Watch. Secondo l’organizzazione per i diritti umani con base a New York, le forze di sicurezza e le milizie (shabiha) del regime avrebbero giustiziato sommariamente oltre 100 civili e ribelli nelle ultime settimane nelle province di Homs e Idlib. Almeno 85 delle persone uccise, tra cui donne e bambini, non avevano mai imbracciato le armi contro il governo. «Le esecuzioni sono avvenute alla luce del giorno e davanti a testimoni senza alcun timore di essere chiamati a rispondere dei loro crimini», ha detto il ricercatore di Hrw, Ole Solvang. L’organizzazione per i diritti umani ha perciò chiesto al Consiglio di sicurezza dell’Onu di garantire che la missione incaricata di monitorare il rispetto del piano di Kofi Annan venga anche autorizzata a raccogliere le prove di questi massacri.


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