Carcere, psicofarmaci e morte

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Dalle notizie diramate dalla Uilpa penitenziari, l’uomo sarebbe stato gravemente malato e con forti problemi familiari, «circostanze che però non avevano impedito all’amministrazione penitenziaria di respingerne l’istanza che aveva avanzato per ottenere la proroga del distacco presso il penitenziario rossanese». Il carcere uccide anche così. Detenzione chimica Ma colpisce altrettanto la tragedia consumatasi nel carcere di Capanne, a Perugia, lo stesso dove è morto Aldo Bianzino: il corpo senza vita di A. B., 43 anni, è stato trovato dall’agente di turno ieri mattina alle 8,10 disteso sul letto della cella singola dove era stato rinchiuso nella sezione d’accoglienza. A. B., che era in cura presso il centro d’igiene mentale, era stato arrestato il giorno prima (il 6 aprile) alle 14 per l’omicidio del fratello cinquantenne avvenuto a Citerna di Città  di Castello. In preda a un raptus, dopo un diverbio, lo avrebbe colpito con un coltello alla schiena, sotto gli occhi della madre ora ricoverata in stato di choc. Per gli inquirenti si tratta di una morte «naturale»: sul corpo non sono stati trovati segni di violenza e si esclude il suicidio. Dalle prime indiscrezioni riportate dai media locali, l’uomo avrebbe assunto – «prima dell’arresto» – un cocktail di psicofarmaci e alcol che si sarebbe poi rivelato evidentemente letale (anche se con molte ore di ritardo, almeno una decina dopo l’arresto). Ne sapremo di più nei prossimi giorni, ma intanto vale la pena riportare la recente denuncia del segretario generale dell’Osapp (sindacato di polizia penitenziari), Leo Beneduci, secondo il quale «nelle carceri italiane ci sono almeno 16 mila detenuti in “contenimento chimico” a causa del “massiccio uso” di psicofarmaci. Si tratta di oltre il 40% dei detenuti in attesa di giudizio, pari ad oltre 12 mila individui, e di oltre il 10% di detenuti condannati nelle case di reclusione, pari ad ulteriori 3.500/4.000 detenuti».


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