Buco nero Libia

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Nella puntata di Presadiretta del 2 aprile 2012, Iacona e i suoi collaboratori sul campo lanciavano sugli schermi televisivi, attraverso un reportage dalla Libia, una verità  scomoda ma ormai evidente: il dopo Gheddafi lascia un paese lacerato, pieno di armi utilizzate da questa o quella fazione che si contende le spoglie di un sistema durato più di quarant’anni. Accanto alle milizie spuntano vari attori stranieri, presenze che sulla carta dovrebbero favorire la transizione democratica ma che in realtà  sono agenti inviati a tutelare gli investimenti e i contratti delle multinazionali (e degli Stati) ansiosi di mettere le mani sulle risorse energetiche del deserto libico. In mezzo resta la popolazione civile, impaurita ma desiderosa di pace, che non riesce a vedere l’uscita dal tunnel. Se possibile però la situazione rischia di aggravarsi.

Un mese di scontri. Marzo è stato un mese molto difficile, apertosi con una riunione di 2mila capi politici e militari della Cirenaica conclusasi con la richiesta, ancora provvisoria e dai contorni non ben definiti, di una autonomia della regione, prodromo alla divisione in due (o forse addirittura in tre) della Libia. Perché se la Cirenaica storicamente ha rivendicato la propria peculiarità  e oggi dispone pure di quelle risorse di idrocarburi che le garantirebbero l’indipendenza economica, nel paese sono presenti altre spinte disgregatrici, soprattutto presenti nella regione meridionale e desertica del Fezzan.

Proprio a sud si sono verificati negli scorsi giorni scontri violentissimi tra miliziani arabi e combattenti dell’etnia Tebu presso l’oasi di Sebha: 150 morti, numerosi feriti, tensione alle stelle anche se il capo di Stato maggiore del nuovo esercito libico ha annunciato che “la situazione è calma, e le forze del ministero della Difesa stanno mettendo in sicurezza le aree strategiche e le infrastrutture, in particolare l’aeroporto”. Dal canto suo il portavoce dei Tebu Issa Abdelmajid Mansour afferma che nel sud della Libia il problema si è trasformato da un conflitto comunitario e tribale in un conflitto razziale, affermando che gli attacchi sono mirati a “tutte le persone con la pelle nera” ed annunciando la riattivazione del Fronte Tebu per la salvezza della Libia (TFSL). “Se sarà  necessario chiederemo alla comunità  internazionale per l creazione di un nuovo Stato sul modello del Sud Sudan”, ha affermato Mansour.

Il Cnt vuole però nuove armi e chiede alla comunità  internazionale di revocare l’embargo sugli armamenti per ristabilire l’ordine ma soprattutto per prepararsi a un possibile conflitto con i “ribelli” di Bengasi. Intanto violenze si sono verificate all’ovest,presso il confine con la Tunisia che sta già  cominciando ad accogliere nuovamente i profughi.

Un nuovo Iraq? Lo scenario che si prospetta è inquietante con una crescente contrapposizione tra le due storiche regioni. La possibilità  di un nuovo Iraq è dietro l’angolo. L’assenza di una leadership forte, l’ambigua compagine ora al potere (un misto di uomini d’armi, ex-terroristi, dissidenti e integralisti salafiti), la storica frammentazione tra clan famigliari e gruppi etnici, l’incontrollata presenza di armi, l’interessata ma incoerente azione dei paesi occidentali coinvolti nell’intervento armato dell’anno scorso, sono gli ingredienti decisivi per una miscela esplosiva.

Ci vorrà  ancora tempo per un’analisi complessiva della vicenda libica. Con il passare dei mesi l’intervento occidentale, che aveva diviso anche il mondo di chi cerca sempre la pace, sembra essere stato dettato solamente da calcoli economici o geostrategici. Contava il petrolio, bisognava abbattere Gheddafi. Per il futuro la Libia si arrangerà . Il conflitto ha lasciato uno strascico di violazioni dei diritti umani, una masnada di mercenari che hanno rimpolpato le fila dei vari gruppi armati del deserto, una miccia collegata ad un ordigno pronto a scoppiare in qualsiasi momento.

Ciò dimostra, se ce n’era bisogno ancora, di come la guerra sia davvero l’ultima delle soluzioni. Quando risuonano le armi è finita ogni possibilità  di discussione. E in Libia pare che le armi parleranno per lungo tempo.


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