Brescia, la strage impunita Quattro assolti in Appello

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BRESCIA — A far male non è solo l’assoluzione, la nona su dieci processi, che chiude forse per sempre la caccia ai colpevoli della strage di piazza della Loggia. A far male sono anche e soprattutto le parole che alle 11 e 10 minuti il presidente della Corte Enzo Platè pronuncia in coda al verdetto: «…condanna le parti civili al pagamento delle spese processuali». Proprio così: i parenti degli 8 morti e dei 103 feriti dell’attentato di Brescia non solo non hanno avuto giustizia dallo Stato dopo 38 anni; ma lo Stato chiede loro anche che mettano mano al portafogli per il disturbo arrecato. Manlio Milani, presidente dell’associazione delle vittime, si porta le mani alla faccia, incredulo, altri che come lui non hanno ancora dimenticato lo strazio di quei giorni scoppiano in lacrime. «Il codice prevede così, però se lo potevano anche risparmiare» commenta l’avvocato Michele Bontempi, legale di parte civile, il cui padre rimase ferito dalla bomba. Anche i familiari di piazza Fontana subirono lo stesso sgarbo, poi rimediato in extremis dallo Stato. E ora si spera che altrettanto accada a Brescia. Sarà  in ogni caso un’infima consolazione per famiglie che non hanno avuto alcuna riparazione, meno che mai quella giudiziaria: la Corte d’Assise d’appello ha confermato ieri l’assoluzione degli ordinovisti veneti Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi (che vive in Giappone con il nome di Hagen Roy), di Maurizio Tramonte, il confidente dei servizi segreti noto come «fonte Tritone», e dell’ex ufficiale dei carabinieri Francesco Delfino. 
Esultano gli imputati e i loro difensori. «Non poteva che finire così» fa sapere il generale Delfino attraverso l’avvocato Stefano Forzani. «È prevalso il garantismo dei giudici», dichiara Zorzi e Maggi non nasconde la sua soddisfazione: «Sono stato perseguitato per trent’anni, ora provo una gioia immensa».
Altri, però, si interrogano su questo teatro dell’assurdo. «Non ci basta una verità  storica o politica — confessa Arnaldo Trebeschi, che il 28 maggio del ’74 perse il fratello e la cognata —, vogliamo quella giudiziaria e stavolta elementi ce n’erano, almeno per alcuni imputati». Il riferimento è in particolare a Carlo Maria Maggi, di cui parlano le veline che la «fonte Tritone» passava ai servizi segreti tra il maggio e il luglio del ’74. Le indagini hanno ricostruito il contesto — l’eversione di destra — in cui maturò la strage (preceduta a Brescia da almeno tre altri attentati e dalla morte dell’estremista di destra Silvio Ferrari, dilaniato da un ordigno che trasportava sulla sua moto), ma non sono risultate sufficientemente credibili nell’attribuire responsabilità  dirette ai singoli imputati. 
Si lascia andare a uno sfogo il pubblico ministero Roberto Di Martino che con il collega Francesco Piantoni sosteneva l’accusa: «L’impegno da parte nostra è stato massimo, abbiamo ricostruito quello che accadde; ma pesano soprattutto i depistaggi degli anni passati. I servizi segreti erano informati degli attentati che si andavano preparando: perché tennero quelle carte nei cassetti? Perché quei documenti sono stati scoperti casualmente solo nel 1992?». 
Intanto esplode il malumore della città : ieri pomeriggio in piazza Loggia, nel punto esatto dell’esplosione, è stato affisso un cartello con la scritta «Strage fascista di piazza Loggia, ingiustizia è fatta».


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