Bombe fra i due Sudan l’ultima guerra del petrolio

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Gli Antonov e i Mig inviati da Khartoum sono apparsi nelle prime ore del mattino. Portavano un nuovo messaggio di morte: sono entrati per 40 chilometri all’interno del territorio del Sud Sudan e hanno colpito il posto di confine a Teschween, poi hanno bombardato i centri di Panakuach, Roliaq e Lalop, nello stato di Unity. Un altro raid, lunedì, aveva già  provocato due vittime durante il bombardamento sulla città  di Bentiu, dove era stato colpito il mercato e il ponte che porta a Rubkotna. Anche se Khartoum nega di aver lanciato un’offensiva aerea, Salva Kiir, presidente del Sud Sudan, denuncia: «È la guerra».
È una nuova guerra per il petrolio. La scintilla parte dal giacimento di Heglig, conteso dalle due parti, occupato il 10 aprile scorso e poi abbandonato dopo una serie di scontri dai militari dell’esercito del Sud. È un giacimento ricchissimo, che in passato produceva più della metà  del greggio di tutto il Sudan. Nella battaglia, hanno detto fonti militari alla stampa sudanese, sarebbero morti oltre mille soldati del Sud: cifre poco credibili, che nessun osservatore indipendente ha potuto confermare. La ritirata dei soldati di Juba ha diminuito il rischio di uno scontro totale, ma da allora Khartoum continua a lanciare attacchi sul territorio del Sud. Al centro degli attacchi, e non per caso, è la regione del confine, considerata una delle più promettenti riserve mondiali di petrolio.
I rapporti fra i due paesi si erano arroventati all’inizio dell’anno, quando Juba aveva interrotto la produzione di greggio, accusando Khartoum di prelevare indebitamente nei giacimenti del Sud. Il Nord aveva replicato che i prelievi erano solo un risarcimento per il pagamento dei diritti di transito nell’oleodotto che attraversa il paese e raggiunge il mare a Port Sudan, diritti che il Sud considera troppo esosi.
L’intervento dell’Unione africana aveva sollecitato una soluzione alla disputa con un incontro al vertice fra i presidenti. Poi però gli scontri hanno fatto saltare le prospettive per un negoziato già  non facile. Il regime di Omar al Bashir non aveva mai digerito fino in fondo la secessione delle regioni meridionali. E poi Khartoum accusa Juba di sostenere i ribelli anti-governativi sia nelle province del Blue Nile e del Kordofan, teatro di scontri e tensioni indipendentiste, sia nel tormentato Darfur. Proprio qui, nella zona di confine fra Sudan, Repubblica centrafricana e Ciad, un attacco dei ribelli ha causato la morte di undici militari centrafricani. Khartoum insiste: i ribelli erano appoggiati da Juba. Il Sud nega ogni coinvolgimento. Ma ormai le scaramucce fra quelle che una volta erano due metà  dello stesso paese si susseguono da settimane.
Adesso però l’avvio di bombardamenti massicci segnala che si è aperta una fase più difficile. L’uomo forte di Khartoum non usa mezzi termini: definisce il governo di Juba «insetti velenosi», con cui «non si deve trattare». Solo il suo ministero degli Esteri si è detto pronto a riaprire trattative con il governo del Sud Sudan.
Le speranze di una composizione in tempi non troppo lunghi sono riposte nella mediazione cinese: Pechino è partner commerciale importante di entrambi i paesi e sfrutta in maniera estesa i giacimenti petroliferi. La Cina è da sempre un alleato importante per Bashir, al potere dal 1989. Ma è anche in buoni rapporti con il Sud, tanto che in questi giorni il presidente Salva Kiir è impegnato proprio in una visita al paese amico. Insomma, i richiami del leader cinese Hu Jintao potrebbero non cadere nel vuoto. Hu ha chiesto ai due paesi di ricorrere a negoziati pacifici: «Il compito più urgente adesso è cooperare attivamente con gli sforzi di pacificazione della comunità  internazionale e fermare il conflitto armato nelle zone di confine». Lo scontro sta creando difficoltà  molto serie a Pechino, perché ha fermato quasi del tutto la produzione del greggio indispensabile per la crescita economica cinese.
Anche Ban Ki-moon ha preso posizione, condannando i raid aerei e chiedendo al governo di Khartoum di fermare le ostilità  immediatamente. «Non ci può essere una soluzione militare alla disputa fra Nord e Sud Sudan», ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite. Per Barack Obama, il Nord deve fermare i raid, ma il Sud deve smettere di sostenere i ribelli che combattono contro Khartoum.
Il Sud Sudan è diventato indipendente l’anno scorso, grazie a un referendum concordato già  nel 2005 fra il Nord arabo e musulmano e il Sud nero e prevalentemente cristiano o legato a religioni tradizionali.


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