by Editore | 13 Aprile 2012 6:32
ROMA – «I tagli agli incentivi per le rinnovabili non servono ad alleggerire le bollette elettriche: per raggiungere quel risultato vanno ridotti gli oneri impropri come gli aiuti alle industrie energivore. I tagli servono a stimolare il settore tenendo i prezzi ancorati ai costi: sei costi delle tecnologie scendono anche i prezzi devono scendere. Altrimenti le industrie perdono competitività ». All’indomani dei decreti sull’energia pulita, il ministro dell’Ambiente Corrado Clini difende a Repubblica Tv il nuovo pacchetto di misure. E propone lo sviluppo dell’energia pulita come la «prima vera liberalizzazione del settore, un processo di decentramento della produzione che richiede misure conseguenti di adeguamento della rete elettrica pensata per poche, grandi centrali. C’è bisogno di maggiore flessibilità ».
Ma è proprio sulla mancanza di agilità e affidabilità del sistema che si concentrano le critiche. Ad orientare il flusso di capitali globali che si muovono nel settore delle rinnovabili (260 miliardi di dollari nel 2011) sono due elementi: da una parte gli incentivi e dall’altra l’affidabilità del sistema Paese. In Italia finora abbiamo avuto incentivi alti e ostacoli burocratici altrettanto consistenti.
Se gli incentivi diminuiscono anche gli ostacoli devono smussarsi. «Da questo punto di vista stiamo andando invece in direzione opposta», commenta Ermete Realacci, responsabile della green economy del Pd. «Il governo ha finalmente preso atto del potenziale delle rinnovabili portando il target al 35 per cento della quota elettrica. Ma nello stesso tempo ha aumentato il sovraccarico di adempimenti burocratici che rappresentano un grave ostacolo allo sviluppo delle imprese italiane del settore. Bisogna correggere il tiro nel passaggio dei decreti alla Conferenza Stato – Regioni: il presidente della Toscana ha già annunciato la richiesta di interventi migliorativi». Sulla stessa lunghezza d’onda le dichiarazioni della Cgil («questa è una terapia d’urto che rischia di uccidere il paziente: in gioco ci sono decine di migliaia di posti di lavoro») e del Cetri, il Circolo europeo per la terza rivoluzione industriale, («altro che semplificazioni, c’è aria di regime kafkiano, con oneri pesanti per i piccoli e nessun arbitro indipendente per garantire l’allaccio in rete»). Il nodo che i decreti rischiano di aggravare è quello dei vincoli.
Ad esempio l’obbligo di creare un registro per impianti che superano i 12 chilowattora per il fotovoltaico e i 50 chilowattora per le altre fonti potrebbe costituire un deterrente capace di paralizzare proprio la quota di mercato che in teoria si vorrebbe sviluppare (condonimi, botteghe artigiane, piccole imprese) rendendo inattuabili gli obiettivi dichiarati.
Per questo le associazioni ambientaliste (dalla Legambiente al Wwf) e quelle delle categorie interessate (Aper, Anev, Ises, Asso Energie Future, Anie-Gifi, Assosolare) hanno lanciato sul web una mobilitazione a oltranza con il primo appuntamento già fissato per il 18 aprile davanti a Montecitorio.
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