by Editore | 1 Aprile 2012 12:08
RANGOON – Aung San Suu Kyi è partita di sera con una leggera brezza che soffiava dal lago Inya sotto la sua villa. Doveva raggiungere la provincia calda e piatta a due ore da Rangoon dove inizia il delta del grande fiume Irrawaddy, e dove pochi anni fa un ciclone ha fatto strage di uomini, case e alberi. Dal voto di questi contadini, la leader dell’opposizione birmana si aspetta il grande salto, dallo status di icona degli oppressi a quello di una statista che può finalmente sedere di fronte ai suoi ex nemici: i nemici di un intero popolo.
Non a caso la sua più grande sfida al vecchio regime, dai tempi della schiacciante e inutile vittoria elettorale del 1990, parte da luoghi dimenticati come un villaggio dell’etnia karen a 10 chilometri da Kawhmu, nel cuore del collegio elettorale dove sarà (sicuramente) eletta. Qui la Lady, arriverà stamattina per farsi vedere nel “suo” collegio, tra la gente che per votare verrà fin dall’alba dalle case nei campi. Suu Kyi dovrà difendere proprio loro, una volta eletta nel nuovo Parlamento. Ma c’è anche una intera economia da rimettere in piedi, rivoluzioni istituzionali vere e proprie, dal sistema legislativo all’informazione, dal problema delle minoranze etniche in guerra a quello del sistema bancario e monetario. Il cuore di Rangoon, una città in attesa di un domani che sembra arrivare più in fretta del previsto, si è svegliato ieri al frastuono dei clacson e delle trombette di improvvisati carri allegorici dove il colore dominante è il rosso accesso della bandiera del partito, che più di tutti spinge per il cambiamento. Sopra ai cassoni ballano i giovani, e i vecchi si affacciano dalle grate di metallo per salutare la gente. La musicaè quella di una canzone ormai celebre: “Our mom is back”, “Nostra madre è tornata”, e esalta la leader che ha assunto il ruolo della madre saggia di una nazione da decenni in agonia. Ma Suu Kyi sarà in grado di portare davvero la trasformazione che tutti si aspettano? Sarà capace di far marciare il vecchio elefante di una burocrazia arrugginita dalla disciplina militare e dalla corruzione dilagante? Talvolta si aprono grandi spazi vuoti nelle strade della ex capitale: aree pronte a veder crescere come funghi le nuove costruzioni degli architetti di questa transizione, le grandi compagnie con capitali misti, soprattutto asiatici. Ma sono ancora gli stessi imprenditori, gli stessi interessi di sempre a tirare le fila. «Anche se cambiano gli uomini politici, l’esperienza dei vecchi uomini d’affari sarà sempre determinante», ci dice il titolare di una impresa di calcestruzzi i cui introiti stanno aumentando con le richieste di nuovi alberghi e nuove sedi di società . Senza contare i grandi magazzini che fanno il verso alla vicina Thailandia. Secondo Aung San Suu Kyi è troppo presto per rassicurare gli imprenditori su un investimento in Myanmar, perché non ci sono leggi da far rispettare, infatti i generali le leggi le facevano e le applicavano a uso e consumo dei magnati vicini al regime. Eppure le nuove imprese sorgono come d’incanto. Ecco Fatherland e Motherland, due enormi compagnie di costruzione indiane che ricoprono la città di pannelli con la foto dei palazzi che stanno per edificare. Palazzi lugubri ma scintillanti al cospetto delle vetuste mura scrostate che li circondano. Ed ecco i tempietti della tecnologia cinese, con i prodotti del progresso esposti nelle vetrine dove la gente si sofferma a sognare. «La città pullula ormai di negozi di telefonini…”, ci dice uno degli avventori di una sala da tè, che come gran parte dei birmani educati parla inglese.
«Prima un cellulare costava più di mille dollari, poi è sceso a 500 e adesso con 200 dollari puoi avere un Gsm, con meno di 100 un modello cinese… è una febbre».
Anche le banche aspettano il via libera per trattare ogni moneta del mondo. «Tutti aspettano qualcosa, è certo che ci sarà il cambiamento», dice l’anziano giornalista Thiha Saw che spera di aprire una scuola per addestrare le centinaia di giovani aspiranti cronisti destinati alle nuove pubblicazioni che hanno chiesto di essere iscritte al registro della stampa, e nonostante le rigide norme ancora in vigore già si preparanoa sfruttare l’improvvisa libertà . Dove ancora c’è scetticismo e una atavica rassegnazione è però dove brulica la vita di tutti i giorni: tra venditori di frutta e verdura, attorno ai banchetti di zuppa moenga fumante, di spiedini alla brace, tra i trasportatori di sacchi di risoe farina che raggiungono in colonna silenziosi e sudati i porticcioli sul fiume. «I prezzi salgono e nessuno sa dove andranno a finire”, dice una cliente del mercato di Mingalar Taung Nyunt, una delle sei circoscrizioni dove la ex capitale 100 km Rangoon BIRMANIA Naypyidaw C si vota attorno a Rangoon.
Nei onnipresenti chioschi o nelle casette per la mescita del tè, ferve un vero rituale condito di discussioni infinite sulla politica e sulla vita. «Nessuno si aspetta una rivoluzione da un giorno all’altro», dice Aye Maung, un piccolo commerciante di foglie del betel e sigarette a pochi passi dalla grande pagoda di Shwedagon, simbolo religioso per eccellenza di un Paese dove i monaci sono scesi in piazza nel 2007 contro l’aumento dei prezzi, che significava anche una riduzione delle loro razioni quotidiane di cibo.
Tutto il mondo sa come andò a finire quella protesta, ma del passatoe della repressione quasi non si parla. La riconciliazione chiesta dagli ex generali e accettata da Suu Kyi per avviare queste prove generali di democrazia è un fatto ormai scontato: non ci sarà vendetta. È questo a rasserenare gli animi, e nonostante le accuse di brogli elettorali, il solo fatto di poter vedere la Lady in Parlamento sembra per ora bastare a tutti, malgrado la consapevolezza che 44 seggi non possano certo scalfire il granitico potere del partito di governo, l’Usdp. Almeno per ora.
«È il tempo di dimostrare se la Lady, oltre che opporsi, sa anche occuparsi degli affari di Stato», dice Ahyin Moe, titolare di una agenzia di viaggi che ha dovuto assoldare una decina di nuove guide per accompagnare i turisti sempre più numerosi.
In un Paese dove non è mai cambiato niente in mezzo secolo di dittatura, qualcuno teme che le cose marcino troppo in fretta. A frenare gli animi è lo spirito placido di un popolo stanco che, finita la giornata di lavoro, torna nelle periferie e nei villaggi per riposare prima di un nuovo giorno.
Sbarcare il lunario è una regola di vita. Magari raccogliendo plastica dall’immondizia come fanno tanti vecchi senza pensione e bambini di strada. Si vive alla giornata da Rangoon a Mandalay, dai paesi del delta ai contadini Kachin del nord.
Davanti alla sede centrale dell’Nld, oggi a tarda sera migliaia di persone si riuniranno a sentire i primi risultati non ufficiali dai seggi più remoti dell’Unione del Myanmar. Suu Kyi ora è giunta al primo traguardo, con una mole immensa di lavoro che la aspetta e i colpi di coda dei “falchi” di regime sempre in agguato. Basterà questa piccola grande vittoria per andare avanti. Forse anche lei alla giornata come il suo popolo.
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