Belsito restituisce oro e diamanti Anche Boni lascia il Pirellone

by Sergio Segio | 18 Aprile 2012 6:45

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MILANO – Spariti nel nulla e cercati per una settimana dalla Guardia di Finanza in sedi di partito e cassette di sicurezza, i lingotti d’oro e i diamanti della Lega Nord sono ricomparsi nelle mani di Francesco Belsito, l’ex tesoriere indagato per appropriazione indebita e truffa nell’inchiesta milanese sulle distrazioni dei fondi del Carroccio.

Dieci lingotti d’oro e undici diamanti. Partiti da Genova verso via Bellerio su un altro simbolo delle dissipazioni leghiste, l’Audi A6 usata da Renzo Bossi ma acquistata da Belsito per il Trota coi fondi del partito.

L’investimento in oro e diamanti era stato realizzato dall’ex tesoriere lo scorso dicembre. Belsito, espulso la scorsa settimana dal partito, aveva versato 204mila euro dai conti della Lega alla 8853 Spa, società  che compra e vende oro e lingotti.

Per acquistare i preziosi, invece, aveva dovuto prima trasferire centomila euro del Carroccio sui suoi conti, perché la compravendita di diamanti è possibile solo con bonifico di persone fisiche, e da lì aveva comprato dalla Intermarket Diamond Business.

Ora l’intero bottino torna a disposizione della Lega. Con l’ex tesoriere che ha consegnato duecentomila euro in lingotti d’oro e centomila euro in diamanti a un autista del partito e, sull’Audi usata fino a pochi giorni fa da Bossi junior, è partito per Milano. Resta il giallo sugli altri trecentomila euro di preziosi che – secondo l’inchiesta del procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dei pm Roberto Pellicano e Paolo Filippini – erano finiti nella disponibilità  della vicepresidente del Senato Rosy Mauroe del senatore Piergiorgio Stiffoni. Una ricostruzione smentita da entrambi. Intanto, il presidente della Regione Piemonte Roberto Cota ha annunciato ieri sera durante la trasmissione Ballarò che oro e diamanti «saranno venduti ed il ricavato andrà  alle sezioni. La Lega – ha detto Cota – è parte lesa. L’unico indagato è Belsito ed è stato espulso. Bossi non è indagato e ha fatto un passo indietro».

E in Regione gli strascichi delle vicende giudiziarie si fanno sentire, eccome. Dopo l’addio alla giunta di Monica Rizzi, la baby sitter di Renzo il Trota in tresca con il Cerchio magico, ieri è stato il giorno di un altro passo indietro in casa leghista. Si è dimesso da presidente del consiglio regionale Davide Boni, raggiunto un mese da un avviso di garanzia con l’accusa di corruzione. «Scelta sofferta, non ho obbedito a nessuno», dice l’ormai ex presidente. In effetti quelle dimissioni le aveva offerte subito, nelle mani di Bossi. Ma il capo gli aveva detto di restare al suo posto. Poi c’è stata, e continua, l’onda delle scope padane. Le stesse che hanno travolto Rosy Mauro, ieri espulsa anche dal gruppo di Palazzo Madama, abbandonato pure dal senatore Lorenzo Bodega che in polemica con quell’espulsioneè passato al gruppo misto. Insomma, Boni – considerato a torto o ragione un maroniano – ha dovuto fare i conti con la novità  del passo indietro prima di Renzo Bossi e poi della Rizzi. Fosse rimasto al suo posto, è il ragionamento dei maroniani, avrebbe creato difficoltà  al fronte dei rinnovatori, sottoponendolo alle critiche di chi nella Lega grida alla caccia alle streghe a senso unico. «Bravo Davide», gli scrive su Twitter il governatore Roberto Formigoni. Che per tutto il giorno proclama la propria innocenza di fronte al nuovo scandalo che investe la sanità  lombarda e ai verbali che raccontano i suoi viaggi allegri: «Sono limpido come l’acqua di fonte, si miraa spazzare via l’esperienza politica più importante dopo Berlusconi».

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