Atmosfere gaeliche per un codice di morte

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Quando il 20 aprile del 1912 si spegne a Londra Bram Stoker, padre del vampiro più famoso nella storia della letteratura mondiale, i giornali del mondo anglofono quasi non se ne accorgono. Sono troppo impegnati a ricostruire e analizzare la grande tragedia del Titanic occorsa cinque giorni prima. Il risultato? La morte dell’inventore del non-morto passa relativamente sotto silenzio. Ad occuparsene, ma soltanto con scarni e scheletrici necrologi, sono infatti pochissimi quotidiani, e in questi, tra l’altro, non è facile rinvenire accenni a quel libro che avrebbe reso Stoker immortale: Dracula. Lo scrittore viene ricordato principalmente come impresario teatrale, e come biografo dell’attore vittoriano Henry Irving.
Il certificato di morte di Bram Stoker recita, tra le cause del decesso, «locomotor ataxy». Trattasi di uno degli stadi finali della Tabes Dorsalis, manifestazione della sifilide terziaria o tardiva. Secondo il senatore irlandese e studioso David Norris, recentemente candidato alla presidenza della Repubblica, a Dublino nei primi anni del secolo circolavano voci insistenti, seppur mai confermate, secondo cui Stoker fosse affetto da sifilide. Non lo sapremo mai con certezza, ma è evidente che se la malattia venerea venisse confermata quale ragione della dipartita dell’ideatore del vampiro succhiasangue, saremmo di fronte a un eccellente caso di ironia tragica. 
Il diario perduto
Ma se per molta cronaca Stoker non morì in quel lontano e crudele aprile del 1912, per la letteratura egli divenne nel tempo un vero e proprio nosferatu. A confermarlo sarebbe la grande rinascita di interesse per questo autore così oscuro in occasione del centenario dalla scomparsa. La Robson Press di Londra, ad esempio, ha appena pubblicato il famoso Lost Journal, il diario perduto di Stoker (p. 337, £ 18). È un volume tratto dal taccuino in cui lo scrittore annotò, a partire dai primi anni Settanta del secolo diciannovesimo, tutte le caratteristiche che avrebbero reso immortale il suo conte transilvano. Si tratta di un preziosissimo documento di lavoro in cui emergono tutto lo studio e l’approfondimento del folklore in materia di vampirismo, senza i quali la sua più grande invenzione letteraria non avrebbe mai preso forma. 
In Italia esce or ora nei classici Einaudi, con una introduzione di Tommaso Pincio, una nuova edizione italiana di Dracula (p. 484, euro 12), tradotta da Marina De Luca e John Irving, mentre la Leone Editore presenta, nella collana «Le gemme», L’uomo (p. 336, euro 149), per la traduzione di Sara Ricci. Si tratta della prima edizione italiana di The Man, un libro uscito nel 1905, noto anche, in America, col titolo The Gates of Life. È un romanzo che viene raramente annoverato dalla critica tra le opere migliori di Stoker. Non manca tuttavia di rivelare intatta quella sapienza narrativa e quella capacità  quasi impressionistica di ritrarre personaggi a tutto tondo evidente nel suo opus magnum. Emerge nel testo l’attenzione a tratti maniacale dedicata al delineamento di una trama relativamente intricata seppur minimalista, la quale gravita attorno alle vicende sentimentali di due giovani: una fanciulla dal nome maschile, Stephen, e il suo amico Harold. I due crescono insieme come fratello e sorella, salvo vedere la relazione prendere una piega inaspettata man mano che si avvicinano alla maturità . L’uomo è un’opera che rivela tutta l’abilità  con cui Stoker mostra di saper disegnare precisi profili umani anche senza ricorrere agli strumenti e agli effetti del sensazionalismo. 
Del sensazionalismo, invece, fa ampio e accurato uso la riscoperta, per il lettore italiano, di un altro suo romanzo, forse il migliore dopo Dracula, ovvero Il mistero del mare (pp. 464, euro 19,50). Esce per l’editore Nutrimenti, con una intelligente introduzione di Mirko Zilahi de’ Gyurgyokai, che ne cura anche la godibile e ritmata traduzione. Il mistero del mare è un’opera in cui Stoker dà  il meglio di sé nel miscelare con cura e maestria tutti gli elementi del mitico e del fantastico, inserendo la storia in una cornice leggendaria a sfondo celtico, dove virtù di preveggenza e visioni di morte si alternano a ricerche di tesori perduti, a codici cifrati, a famosi naufragi, a morti in mare e ad avventurosi viaggi in nave.
Al protagonista Archie Hunter, in villeggiatura a Cruden Bay, in Scozia, capita all’improvviso di avere macabre visioni di morte. Da queste si riprende immediatamente, salvo poi verificare che tali allucinazioni si avvereranno sinistramente nei giorni a venire. La vista, ad esempio, di una piccola cassa nera portata a spalle da un uomo, si rivelerà  presagio dell’annegamento di un bambino qualche giorno più in là . L’incontro, poi, col marinaio Macleod, in cui quest’ultimo lo informa della conformazione della costa, sarà  seguito dalla visione del suo cadavere disteso su uno scoglio: Macleod, infatti, morirà  a qualche giorno di distanza dopo aver invano ingaggiato una lotta impari con i flutti.
Di queste e altre visioni Archie chiede conto a una vecchia veggente, Gormala – archetipo di tante streghe e megere dell’immaginario gaelico – la quale si esprime con lui in maniera ermetica, tramite remote litanie e profetiche lamentazioni il cui significato ovviamente gli sfugge. Gormala diviene una sorta di misteriosa guida nei meandri dell’ignoto. Al tempo stesso incuriosisce e spaventa il protagonista, nuovo a tali macabre visioni premonitrici. Con lei, ad esempio, Archie assiste a una processione di marinai morti che vanno a gettarsi in un pozzo sacro. La storia prosegue, poi, seguendo percorsi intricati ma mai difficili da seguire, fino al rinvenimento, in una vecchia cassa di quercia, di documenti del sedicesimo secolo nei quali è conservato uno strano codice da decifrare. Da qui prende l’avvio una ulteriore trama parallela tipicamente vittoriana, che vede al suo centro un’eroina, Marjory Drake, di cui Archie si innamora, e con cui tenterà  di decifrare il codice. Il tentativo condurrà  a una teoria di pericolose avventure tra caverne e marosi, alla ricerca del tesoro segreto dell’Invincibile Armada.
Un collage cifrato
Alla complessità  del plot fa da contraltare il ritmo serrato di una narrazione che raramente subisce cali di tensione. Il libro è un collage di storie segrete la cui lettura è affidata, in appendice, a oscure e baconiane chiavi interpretative di remote scritture parallele. L’interesse quasi scientifico per la riscoperta del folklore locale, e la presenza del mare quale testimone insondabile di vicende ai limiti dell’incredibile, ben si inseriscono nella cornice di reminiscenze mitologiche che contribuiscono alla delineazione di dense atmosfere allucinate. Tutto ciò regala alla narrazione intricata di questo lungo romanzo un tocco quasi gotico che ricorda l’evocatività  di certe scene in Dracula. 
Il mistero del mare si pone non solo come tipico romanzo sensazionale vittoriano, ma anche come paradigma di tante opere future, che degli stessi ingredienti faranno ampio uso ottenendo enormi successi di pubblico nei sottogeneri mainstream del thriller contemporaneo.


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