Asse Pd-Pdl, il ruolo (ritrovato) dei partiti
ROMA — Bistrattate, in crisi di voti, di consensi e di fiducia degli italiani, le forze politiche si prendono la loro rivincita nella partita con il governo sulla riforma del mercato del lavoro.
È vero che probabilmente, senza l’aiuto del sempre attento Giorgio Napolitano non ce l’avrebbero fatta, ma ora il risultato è sotto gli occhi di tutti. Pier Luigi Bersani può tranquillamente intestarsi una vittoria in questo lungo e defatigante braccio di ferro. E se il risultato ottenuto gli alienerà le simpatie della Fiom, poco male. Sarà l’ulteriore riprova di quello che il segretario del Pd va dicendo da tempo: «Noi siamo autonomi dal sindacato».
Ma anche Angelino Alfano non può dirsi insoddisfatto. Il numero uno del Pdl sapeva benissimo che alzare le barricate in difesa dei licenziamenti facili non era opportuno, né remunerativo in termini di voti, in compenso ha strappato qualcosa in più sul fronte della flessibilità .
Alla fine della festa, sia Alfano che Bersani possono dirsi soddisfatti dell’esito della trattativa. Hanno dimostrato che il governo dipende da loro e hanno smentito la vulgata che li vuole moribondi al traino dei tecnici. Del resto, già una ventina di giorni fa i due si erano parlati ed erano rimasti d’accordo su un punto: è inutile farci la guerra tra di noi, perché soccomberemmo entrambi, piuttosto cerchiamo di darci una mano, pur nella diversità delle posizioni. Per questa ragione il segretario del Pd era sicuro che avrebbe trovato una sponda in Alfano nel momento in cui il confronto sulla riforma del mercato del lavoro sarebbe arrivato a un punto di svolta.
Per dirla con l’ex ministro della Giustizia, «il Pd e il Pdl sono i due partiti più grandi e in questa congiuntura difficile possono intercettare tutti i temi più importanti in modo bipartisan». Ed è esattamente così che hanno affrontato la complessa vicenda della riforma Fornero. Anche perché, ed è sempre Alfano che parla, «sia il Popolo della libertà che il Pd hanno pagato un dazio altissimo» con la loro decisione di archiviare gli interessi di bottega per sostenere il governo Monti. Perciò quando chiedono qualcosa al governo, quando contestano talune decisioni o ne sollecitano altre, non lo fanno per riprovevoli motivi legati ai loro interessi. È un bene, quindi, che il governo li ascolti e non li mortifichi sull’altare dei sondaggi che danno in picchiata la credibilità dei partiti.
Ora è Bersani che parla, per spiegare che le sue non sono state impuntature, che il Pd non ha fatto le bizze o i capricci quando si è rifiutato di accettare la prima versione della riforma del mercato del lavoro: «Se mi impunto non lo faccio per la mia bandierina, né per fermare il cambiamento. Questa è una descrizione caricaturale di quello che il Pd e io stiamo facendo». E ancora: «C’è una rotta da tenere, questo lo sappiamo tutti, come sappiamo quali sono i rischi della crisi economica che ha investito l’Europa. E una politica che conosce il Paese, che ha il polso delle difficoltà degli italiani, può dare una mano seria al governo dei tecnici. D’altra parte è a noi politici che gli italiani si rivolgono per le loro difficoltà , siamo noi leader dei partiti che veniamo fermati per strada dai cittadini che ci manifestano il loro disagio».
È l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano a cogliere l’aspetto paradossale di tutta questa vicenda: «In Asia Monti aveva detto che i sondaggi davano i partiti ai minimi termini, eppure sono stati proprio i partiti, ora, a chiudere positivamente tutta questa trattativa. Se non ci fossero stati, chissà in che situazione ci troveremmo adesso. Non è nelle aule di università che si capisce e conosce l’Italia profonda».
E per spiegare quello che è accaduto Damiano fa questo paragone: «Quando una nave deve affrontare la tempesta è necessario che il carico che trasporta sia ben posizionato, altrimenti è la fine. Rischia di inabissarsi. Ecco, ciò che hanno fatto i partiti sulla riforma del mercato del lavoro è esattamente questo: rimettere in rotta la nave e consentirle di andare avanti senza affondare».
In questa nuova fase dell’era montiana sembra invece appannata la figura di Pier Ferdinando Casini. Il leader del Terzo polo si era ritagliato una figura da mediatore tra Pd e Pdl e tra entrambi questi due partiti e il governo, ma ora che Alfano e Bersani si parlano direttamente il ruolo di Casini si fa più marginale.
Dunque i due maggiori partiti, nonostante la campagna elettorale sia alle porte, hanno firmato un patto di mutuo soccorso. A ridosso delle elezioni se le daranno pure di santa ragione, ma sapendo che alla fine un identico destino li accomuna e una sola missione li può salvare: dimostrare che la politica è indispensabile e che perciò è la sola che può dare una mano ai tecnici.
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