Ancora un morto sotto tortura

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L’organizzazione per i diritti umani Amnesty International «sollecita il Cnt della Libia a indagare immediatamente sulla morte sotto tortura, in un carcere di Misurata, di un uomo dell’etnia tawargha, la popolazione libica nera che sta subendo gravi violazioni dei diritti umani». «Il corpo di Barnous Bous’a, 44 anni, padre di due figli – denuncia Amnesty in una nota – è stato restituito alla famiglia lunedì scorso pieno di ematomi e ferite da taglio, tra cui una ancora aperta sulla nuca». «Durante il conflitto Bous’a era fuggito dalla sua città , Kararim, riparandosi a Sirte quando anche questa città  era stata coinvolta nei combattimenti, si era rifugiato a Misurata. Qui, ad ottobre, mentre tentava di tornare a Sirte, era stato arrestato dalle milizie locali e trasferito in una realtà  detentiva gestita dal Comitato per la sicurezza di Misurata». Secondo Amnesty International, che a febbraio ha pubblicato un lungo Rapporto curato sul campo per mesi dalla responsabile per le crisi e i conflitti Donatella Rovera (v. intervista sul manifesto del 17 febbraio scorso), «dal settembre 2011 più di una decina di persone sono morte mentre si trovavano in centri di detenzione diretti dalle milizie armate». Per Amnesty l’intera popolazione della città  di Tawargha, 30.000 persone, è stata colpita dalle azioni di rappresaglia delle milizie armate perché accusata di aver sostenuto Gheddafi.
«Nell’agosto 2011 – si legge nella nota – le milizie di Misurata hanno espulso tutti gli abitanti di Tawargha, saccheggiando e incendiando le loro case. Da allora, le milizie hanno dato la caccia ai tawargha in tutta la Libia, cercandoli nei campi per gli sfollati, ai posti di blocco e fin negli ospedali. Quelli che vengono trovati finiscono nelle carceri di Misurata, dove vengono regolarmente torturati, in alcuni casi fino alla morte. Nuovi arresti di tawargha sarebbero avvenuti anche questa settimana». Per Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International, «la morte brutale di Barnous Bous’a evidenzia il continuo pericolo in cui si trovano i detenuti nella nuova Libia. Quante altre persone dovranno morire di tortura prima che le autorità  si rendano conto della gravità  della situazione e rispettino gli impegni di indagare, punire e far cessare questi crimini?». E Amnesty accusa: «Lunedì scorso le autorità  locali di Misurata hanno negato l’esistenza di casi di tortura e di altre violazioni dei diritti umani aggiungendo che “per ora la riconciliazione tra le due città  è impossibilè e che “bisognerà  cercare altre soluzioni per i tawargha”. Le autorità  di Misurata stanno chiudendo un occhio sulle crescenti prove di violazioni dei diritti umani commesse dalle milizie locali dichiarando che si tratta di “errori individuali”. «È decisivo – conclude Sahraoui – che il Cnt assuma il controllo delle milizie, indaghi su tutte le violazioni e punisca i responsabili, nel rispetto del diritto internazionale. Solo allora la Libia inizierà  a girare pagina…». 
Sullo sfondo di questa violazione dei diritti umani in Libia, la brutta figura di Luis Moreno Ocampo, il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) in questi giorni a Tripoli per «fare giustizia sul caso Saif Al Islam», il figlio di Gheddafi sempre prigioniero a Zintan e mai trasferito a Tripoli. Per Ocampo a decidere sulla sorte di Saif al-Islam, incriminato dal Cpi ancora nel periodo dei bombardamenti della Nato, «saranno i giudici della Corte penale internazionale». Il fatto è che da dieci giorni le autorità  di Tripoli si rifiutano di consegnarlo al tribunale dell’Aja: vuol dire che il processo si farà  a Tripoli e sarà  quello dei vincitori. Il governo libico aveva respinto lo scorso 10 aprile la richiesta della Cpi di consegnare «immediatamente» il figlio di Gheddafi. «Sono venuto a controllare quello che hanno intenzione di fare», ha aggiunto Ocampo, che ha anche escluso una visita a Zintan (180 km a sud ovest di Tripoli) dove Saif al-Islam è tenuto prigioniero dai ribelli. «Non posso vedere Saif – ha concluso – perché non ha ancora un avvocato». Ma non era Ocampo l’eroe dei diritti umani? Invece, cos’ facendo, cede non ad un governo libico legittimo, ma al caos. Secondo il portavoce Nasser al-Manaa, il premier libico pro-tempore Abdel Rahim al-Kib è sul punto di un rimpasto di governo, criticato per l’incapacità  di organizzare il nuovo esercito e soprattutto per la mancanza di sicurezza nel Paese. La scorsa settimana centinaia di miliziani sono addirittura entrati nella sede del governo intimidendo ministri e premier. E ora il Cnt al potere annuncia l’intenzione di ritirare la fiducia al suo stesso governo.


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