Alla fine Paolo Bosusco è libero
Infine libero. Paolo Bosusco è arrivato ieri mattina a Bhubaneshwar, la capitale dell’Orissa, nella stessa guest house dello stato dove per quasi un mese si erano incontrati i mediatori nella difficile trattativa per la sua liberazione. Ad attenderlo c’erano l’ambasciatore d’Italia e varie autorità dello stato – e ovviamente una selva di giornalisti e telecamere, italiani e indiani. Ha salutato questo ultimi con un «sto bene, grazie» in ligua oriya. E’ apparso dimagrito (ha perso 10 chili, ha detto) ma in buona salute e sereno, come sicuro che non sarebbe ppotuto succedergli nulla di male. «Solo ieri mi hanno annunciato che sarei stato liberato, per cui mi hanno chiesto di impacchettare le cose e mettermi in cammino», ha raccontato. Ha confermato che «non c’era polizia nella zona», e che quando lo hanno rilasciato «mi hanno preso in consegna un giornalista indiano della Mbc e il mediatore Nandapani Mohanty, una persona che io non avevo mai visto. Con loro ho camminato per una mezz’oretta, fino a un posto in cui era parcheggiata un’auto».
Un epilogo positivo, dunque. Paolo Bosusco, tour operator che viveva in India da 19 anni organizzando tour nelle foreste dell’Orissa, era stato sequestrato il 14 marzo mentre di addentrava in una foresta del distretto di Khandamal, la foreste Soroda, insieme a Claudio Colangelo, turista che si era affidato a lui (e rilasciato senza contropartite la settimana dopo).
Dal racconto di Bosusco, e da quanto hanno detto gli stessi maoisti alla stampa locale, i due italiani (accompagnati nel loro trekking da due indiani, cuoco e autista) sono stati probabilmente scambiati dai maoisti per agenti di polizia in borghese. Un rapimento non premeditato, dunque, ma una volta fatto Sabyasachi Panda, capo maoista dello stato dell’Orissa, deve aver pensato di usarli per sostenere le sue rivendicazioni: tra cui la scarcerazione di una lunga lista di militanti e altre persone detenute. E non solo, la lista di richieste includeva anche incriminare e indagare degli ufficiali di polizia per abusi e stupri, e altre questioni legate ai diritti e la dignità dei «tribali», come in India si usa definire i nativi (adivasi è il nome indiano). Poi chiedevano di affrontare il problema degli espropri di terre a danno degli adivasi, e di fermare le operazioni di polizia nella foresta. E di mantenere simili promesse fatte un anno prima in occasione di un altro rapimento.
Richieste insieme generali e molto precise, su cui hanno lavorato i «mediatori», tre rappresentanti del governo e due attivisti per i diritti umani di fiducia dei maoisti – tra cui Mohanti, l’uomo che all’alba di giovedì ha preso in consegna Bosusco presso il villaggio di Raikia e l’ha riportato in città . Trattativa non semplice, un po’ per il braccio di ferro su quanti e chi sarebbero stati scarcerati. Un po’ perché si sono intrecciate con quelle per il rilascio di un’altra persona, il deputato all’Assemblea dell’Orissa Jhina Hikaka, rapito il 24 marzo mentre viaggiava nel suo collegio elettorale e tuttora nelle mani dei rapitori. Il deputato è stato preso in un distretto diverso – Koraput, verso il confine con Andhra Pradesh e Chhattisgarh – e da un diverso gruppo maoista, che risponde a una diversa struttura organizzativa. Ma era inevitabile che le trattative pesassero una sull’altra. per la sua liberazione è stato chiesto di scarcerare altri militanti maoisti e soprattutto una lunga lista di appartenenti a un sindacato rurale di indigeni che le autorità considerano fiancheggiatori dei ribelli, e poi di mantenere le tante promesse fatte per lo sviluppo di quella zona di miniere di bauxite in cui la popolazione vive in estrema povertà .
Bosusco è volato ieri sera a New Delhi, e tornerà presto in Italia – con il rimpianto che in India difficilmente potrà di nuovo lavorare. Sembra che il suo rapimento sia stato criticato anche da Subhasree Das, detta Mili Panda, moglie del leader maoista – una delle persone scarcerate in cambio del rilascio di Bosusco: pur avendo definito il marito «mio amico, filosofo e guida», ha detto ai media indiani che prendere un italiano «è stato un errore. Gli stranieri sono nostri ospiti».
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