Alfano: alle forze politiche contributi con il meccanismo del 5 per mille

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ROMA — Con Bersani e Casini lavora per dare ai cittadini storditi da inchieste, illegalità , malaffare dei partiti «risposte immediate» che salvino un sistema politico sull’orlo del baratro. Con Maroni prevede un rapporto di collaborazione futura «ottimo», così come lo è stato in passato. E con Mario Monti, al quale non ha intenzione di fare «sgambetti», vuole un incontro appena «tornerà  dal suo viaggio in Medio Oriente» per discutere di Imu da cambiare, di legge sul mercato del lavoro da modificare per i nuovi contratti, e per verificare che nella delega fiscale del governo non ci siano «brutte sorprese» che il Pdl non accetterebbe.
In un momento delicatissimo della già  traumatica fase del passaggio dalla Seconda Repubblica al sistema che verrà , Angelino Alfano si muove a 360 gradi. Conscio dell’obbligo di dare segnali forti su una nuova legge sul finanziamento, le spese, le regole dei partiti perché «non possiamo permetterci né finzioni né lentezze: i primi ad avere interesse a che tutto si svolga regolarmente — dice il segretario del Pdl — siamo proprio noi, che vogliamo gestire e governare i nostri rispettivi partiti senza rubare e senza imbrogliare».
Adesso che tutto crolla — vi potrebbero obiettare i vostri elettori — finalmente vi muovete. Non è tardi, non rischia di essere inutile?
«No, anzi è doveroso dare risposte ai cittadini che le pretendono. E lo dico io che grazie al sostegno che il presidente Berlusconi ha sempre dato al partito e alla conclamata correttezza della nostra amministrazione guidata dall’onorevole Rocco Crimi, oggi posso governare un Pdl che non ha avuto alcun problema di cattivo uso delle proprie risorse pubbliche».
Cosa dovrebbe cambiare realmente rispetto a oggi, che obiettivi vi ponete con la nuova legge?
«Vogliamo che i conti dei partiti siano controllabili dall’opinione pubblica, che le spese siano pertinenti allo scopo che anima un organismo politico, che vi sia un protagonismo sempre maggiore da parte dei cittadini nell’attribuzione del finanziamento».
Il finanziamento pubblico deve restare perché, come ha detto anche Bersani al Corriere della Sera, se non ci fosse il rischio sarebbe una deriva populista affidata a miliardari che «suonano il piffero»?
«Il finanziamento pubblico è sempre stato un modo per affrancare i partiti dai circuiti tangentizi dei finanziamenti».
A vedere le vicende degli ultimi mesi, a dire il vero, non si direbbe…
«E infatti è evidente che se i cittadini si accorgono che oltre al finanziamento pubblico ci sono anche le tangenti fanno bene ad arrabbiarsi! Per questo dobbiamo cambiare, mantenendo forme di finanziamento che affranchino i partiti dalla spasmodica necessità  di trovare soldi, ma anche introducendo sanzioni e controlli che scoraggino l’abuso di quei soldi. E in ogni caso, bisognerà  trovare le forme tecniche migliori perché i cittadini siano più protagonisti nell’attribuzione di risorse alla politica».
A cosa sta pensando?
«Una forma di finanziamento attraverso meccanismi come il 5 per mille ci vede favorevoli, e ci stiamo lavorando. Ma, come ho detto già  nei giorni scorsi, dobbiamo fare presto, prestissimo e bene».
Serve un decreto? Il governo ha fatto sapere di essere disponibile.
«Questa non è materia che compete al governo ma al Parlamento. Un decreto per essere convertito necessita 60 giorni? Bene, le Camere dovranno riuscire a varare la legge in un tempo minore».
Insomma, il terremoto Lega potrebbe innescare una spirale positiva. Ma intanto, di quella che sembra la fine di un’epoca, delle dimissioni di Bossi e ieri di suo figlio Renzo, cosa pensa?
«Bossi sta facendo una scelta di grande chiarezza che va rispettata, perché manifesta l’intento di non lasciare punti oscuri. La sua parabola politica e umana merita un riscatto, non una fine ingloriosa».
E dolorosa per i militanti leghisti, che non perdonano al Senatur il familismo: è stato questo l’errore più grande di Bossi?
«Io cito le sue parole: la regola generale è evitare che in famiglia la politica la faccia più di una persona…».
Per le amministrative può cambiare qualcosa, ora che è forse più la Lega ad aver bisogno di voi che non il contrario?
«Le amministrative sono già  un treno in corsa, partito prima che questa vicenda venisse alla luce. Non darei loro un significato macropolitico, si svolgono in un tempo sospeso tra ciò che è stato e ciò che sarà , ossia tra le coalizioni come le abbiamo conosciute e una nuova ipotesi di bipolarismo che, mantenendo la democrazia dell’alternanza, veda sfidarsi i partiti».
È nel quadro più proporzionalista che potrebbe emergere dalla nuova legge elettorale a cui state lavorando che magari prenderà  vita l’asse tanto evocato Alfano-Maroni, ora che la caduta di Berlusconi premier e quella di Bossi leader hanno lasciato a voi due «delfini» campo libero?
«Le vicende interne alla Lega le osserviamo da fuori e con rispetto per le loro dinamiche. Con Maroni posso dire che c’è sempre stato un ottimo rapporto: non c’è ragione per cui non debba esserci in futuro».
Oggi intanto il rapporto è con Casini e Bersani e dunque con Monti: un accordo sull’articolo 18 l’avete raggiunto, ma sul ddl sul mercato del lavoro avete intenzione di dare battaglia?
«La nostra posizione sul punto è chiara: non siamo appiattiti su qualche sindacato e non siamo per un sì acritico al governo. La nostra forte preoccupazione è che i troppi appesantimenti burocratici e i vincoli alle assunzioni, piuttosto che dare certezze ai lavoratori, diminuiscano l’occupazione. Le obiezioni delle imprese sono anche le nostre».
Volete cambiare la cosiddetta «flessibilità  in entrata»?
«Lasciamo stare formule poco comprensibili, le faccio un esempio concreto. Proprio il giorno di Pasqua una ragazza mi raccontava la sua storia, quella di lavoratrice a tempo determinato che si è sentita dire dal suo datore di lavoro che, se passerà  questa riforma, sarà  costretto a sospenderle il contratto perché non può permettersi l’obbligo di assunzione a tempo indeterminato. Ecco, non è possibile che per accontentare un sindacato si rischi non di trasformare un precario in lavoratore stabilizzato a tempo indeterminato, ma in un disoccupato».
Servirà  un nuovo vertice di maggioranza per trovare un’intesa su questo punto?
«Lavoreremo in Parlamento, sperando che si arrivi a una sintesi senza scontri. Non abbiamo retropensieri o secondi fini, non vogliamo mettere a rischio il governo. Però annuncio già  che riapriremo il capitolo fiscale. A partire dall’Imu: riteniamo che troppe famiglie abbiano difficoltà  ad assorbire una botta così dura».
Cosa proponete?
«Che sia una tassa una tantum, che non venga riproposta nel 2013, e che sia rateizzata. Poi, bisognerà  lavorare nei prossimi mesi per evitare che a settembre venga aumentata ancora una volta l’Iva».
La pressione fiscale sempre più alta può essere il tallone d’Achille del governo?
«Saremo vigili e attentissimi su questo terreno. Al presidente del Consiglio chiedo un incontro al più presto, al suo ritorno dal viaggio in Medio Oriente, per un confronto sui contenuti della delega fiscale: non vorremmo trovarci dentro brutte sorprese che per noi sarebbero inaccettabili».


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