Abc esordienti allo sbaraglio
Adesso anche gli errori tecnici. Sarà stata la voglia di mostrarsi pronti a moralizzare i bilanci dei partiti, senza cancellare però il finanziamento pubblico. Sarà stato il panico. Il fatto è che il primo progetto di legge firmato assieme da Alfano, Bersani e Casini assume ogni giorno di più i contorni di un esordio tragico.
Era il primo pomeriggio di dieci giorni fa quando i tre leader planarono sul pic-nic di pasquetta annunciando che in 48 ore avrebbero presentato «norme urgenti per il controllo e la trasparenza del finanziamento ai partiti». Cosi fu: due giorni dopo, a tarda sera, i tecnici del Pdl, del Pd e del Terzo polo vennero fuori da quattro ore di mediazioni proponendo una nuova commissione di verifica dei bilanci ma nessun taglio ai finanziamenti. «L’agganceremo come emendamento al decreto fiscale», annunciarono i tre, così da farla approvare rapidamente. Non l’agganciarono. Estranee al decreto, le nuove norme sui partiti dovettero trovare posto in un progetto di legge autonomo. Cominciarono a chiamarla la legge Abc, le iniziali dei tre segretari che promisero a quel punto di assegnarla alla prima commissione in sede legiferante. Per procedere spediti. Ma, martedì sera, il secondo pasticcio: un decimo della camera, così come prevede il regolamento, ha riportato la mini riforma sul binario lento. E non è finita, perché la legge Abc che da ieri è in prima commissione – ma in sede redigente – rischia di non riuscire a muoversi neanche con i ritmi lenti, seguendo i quali prima dell’estate sarà difficile approvarla. Il dossier del servizio studi della camera, infatti, la fa a pezzi. La descrive come una legge piena di svarioni e norme impossibili. Di fronte ai tecnici di Montecitorio i tre leader della maggioranza fanno la figura di tre legislatori della domenica. Volevano alzare un bastione contro l’antipolitica. Hanno dimenticato il portone aperto.
Depositata ieri, la relazione del servizio studi alla legge Abc, atto camera 5123, contiene alcune perle. A partire dall’obbligo di certificazione dei bilanci dei partiti, solennemente annunciato dai tre segretari nella relazione alla legge, ma non previsto effettivamente nel testo. Problematica la configurazione della Commissione per la trasparenza, che secondo la legge è coordinata dal presidente della Corte dei conti e composta anche dai presidenti della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato. Magistrature che, notano i tecnici, non hanno tra le loro funzioni quella di controllare gli atti di organismi privati come sono i partiti. Ma c’è un problema ancora più grande. Alfano, Bersani e Casini non avevano pensato che porre il presidente della Cassazione, il magistrato più alto dello stato, in posizione subordinata rispetto al presidente della Corte dei Conti, è un controsenso. Al di là delle gelosie di casta, che non possono escludersi, la Cassazione è il giudice della legittimità di tutte le sentenze, anche di quelle contabili. Motivo per cui il presidente di piazza Cavour, Lupo, sarebbe orientato a chiedere al presidente della camera Fini di tenerlo fuori da questa commissione.
E non è finita: in alcuni casi, notano i tecnici della camera, la legge Abc riduce addirittura i controlli sui bilanci dei partiti, rispetto a quelli già previsti. Sono infatti controllabili solo le spese, e non le entrate, non sono previste sanzioni per irregolarità non quantificabili in termini monetari ed è abolita la possibilità di sospendere il finanziamento pubblico.
La questione più grande di tutte, però, è ancora un altra. La mini riforma sui controlli dei bilanci non può arrivare prima della riforma generale dei partiti. «In mancanza di disciplina di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione» spiega il dossier, e cioè senza che sia stata ancora prevista la forma giuridica dei partiti, questi non sono neanche censibili. Figuriamoci controllabili. Progetti di legge di attuazione dell’articolo 49 ce ne sono tanti, in coda nella stessa prima commissione della camera. Ma la maggioranza vuole che la legge Abc scavalchi tutti. Spera così di fare colpo sull’opinione pubblica, ma spera anche di incassare senza troppi imbarazzi il prossimo finanziamento pubblico. Il risultato della fretta è una legge inapplicabile. Un tragico esordio.
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La paura di perdere le prossime elezioni. Sembra questo l’architrave su cui poggia l’accordo trovato ieri dai tre partiti della maggioranza che sostiene il governo “tecnico”. Sull’idea che nessuna forza politica – a cominciare da Pdl, Pd e Udc – sia in grado di scommettere sul risultato delle prossime elezioni politiche. Tutti sperano di tenersi le mani libere e ognuno punta a limitare i danni. Lasciando aperta la porta ad ogni soluzione per il dopo-voto. L’intesa preparata da Alfano, Bersani e Casini è soprattutto il frutto di una convergenza di interessi.
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