A Londra nasce un movimento per far rivivere i pezzi abbandonati della città  Il rinascimento delle metropoli

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h Street, tra un’impalcatura e una lavanderia, dove prima c’era un’agenzia per il lavoro oggi sono in mostra sculture di legno e stampe colorate dietro a due vetrine sormontate da un’insegna a caratteri rosa: Utrophia. “Una parola – spiega Stephen Molyneux, per tutti Steve – che inventai per la mia tesi in Letteratura.

Un gioco di parole tra utopia ed eutrofizzazione”. Sono stati creativi come Steve e comunità  locali ad avere ridato vita negli ultimi mesi alle vie britanniche dello shopping svuotate dalla crisi colonizzando i negozi e gli uffici rimasti vuoti.

(segue dalla copertina) “S lack space”, li c h i a m a n o , prendendo in prestito il termine informatico che indica i byte non occupati in un file. In febbraio la percentuale di negozi vuoti nelle high street britanniche era del 14,6 per cento, il tasso più alto da quando nel 2008 la Local Data Company (Ldc) ha iniziato i suoi rilevamenti mensili. «Nel 2011 la percentuale è stata del 14,3 per cento, mentre nel 2008 era del 5,5 per cento.

Parliamo – precisa Matthew Hopkinson, il direttore di Ldc – di 48.000 unità  inoccupate. Un negozio su sette».

Per molti le vetrine sbarrate da grate e lastre di compensato e i chiavistelli alle porte non sono che il segno di disoccupazione e di declino, per alcuni rappresentano invece un’opportunità . Non riuscendo a trovare nuovi acquirenti né affittuari, i proprietari preferiscono cedere gli spazi a prezzi modici ad artisti e comunità  locali piuttosto che vederli inoccupati. «Se sei un’organizzazione senza scopi di lucro – commenta Steve, 36 anni, scompigliandosi i capelli – godi di condizioni di favore. È un incastro perfetto dove noi aiutiamo i proprietari degli immobili prendendoci cura delle loro proprietà  e loro aiutano noi mettendoci a disposizione spazi per le nostre attività . E anche la gente è contenta perché riportiamo vitalità  in angoli della città  che stavano diventando desolati e quindi pericolosi». Steve ha fondato Utrophia dieci anni fa. Tutto è cominciato con alcuni dj che mettevano musica nei locali, mentre dei visual artist proiettavano filmati sulle pareti.

Poi si è formato un collettivo di artisti sempre alla ricerca di spazi dove esporre le proprie opere: prima un bar, poi una chiesa sconsacrata e infine un vecchio magazzino industriale. È con la crisi del 2009 che hanno iniziato a pensare in grande. Prima trasformando una vecchia fabbrica di gelato in un centro culturale, poi aprendo uno spazio per mostre e laboratori nel cuore di Deptford, nel sudest di Londra.

«Era un’agenzia per il lavoro, ma il municipio locale di Lewisham ha dovuto vendere. E se chiude un’agenzia per il lavoro, per la gente non c’è speranza», osserva Helena Doyle, regista e visual artist ventiseienne originaria di Dublino che tre anni fa è entrata a far parte di Utrophia. «Per noi – ribatte Steve, mentre la gente curiosa dalle vetrine-è stata una fortuna. Ci avevano detto che saremmo potuti restare solo tre mesi e invece siamo qui da un anno e mezzo. Sarà  pure cinico dirlo, ma è tutto merito della crisi».

«In passato capitava che negozi scomparissero in tempi di crisi e riaprissero in periodi di ripresa.

Stavolta, anche quando l’economia si riprenderà , molti negozi in Gran Bretagna rimarranno vuoti perché il problema è strutturale», sostiene Neil Blake, direttore del dipartimento di Analisi economica presso la Oxford economics.

Hopkinson è ancora più pessimista: «Il numero dei negozi vacanti aumenterà  nel corso del 2012 a causa di una combinazione di fattori: disoccupazione, misure di austerity, aumento dei tassi d’interesse, crescita degli acquisti online. La verità  è che gli spazi vendita sul nostro territorio sono troppi». Ed è scettico anche sull’istituzione di un fondo da 10 milioni di sterline da destinare a 100 aree colpite dalla crisi annunciato nei giorni scorsi da Mary Portas, incaricata dal governo di rilanciare le high street.

Molti municipi londinesi, a dire il vero, hanno iniziato ad affrontare il problema da tempo. Le autorità  di Lewisham hanno iniziato a lavorare alla Deptford Regeneration già  quattro anni fa.

Prima convertendo un vagone ferroviario in disuso in un caffè, poi costruendo il modernissimo complesso “Deptford Lounge” che racchiude una biblioteca, una scuola elementare, centri sportivie gallerie.È qui chea metà  giugno apriranno i nove spazi espositivi di “Enclave”. Le mura sono ancora fresche di pitturae gli studi sono ancora sgombri, «ma presto – commenta Lucy Ames – prenderanno vita». Prima che arrivasse la recessione, il proprietario sperava di trasformarla in un complesso di appartamenti di lusso. Oggi le celle sono diventate degli spazi espositivi, le stanze per gli interrogatori sono state trasformate in una galleria e i vari uffici ospitano studi d’artisti.

Lo “slack space movement” londinese, come l’ha battezzato qualcuno, sostiene le iniziative locali, promuove il senso di appartenenza e rilancia i quartieri più miseri. Un movimento che ha precedenti nella Instand (be) setzung, “riabilitazione-occupazione”, della Berlino Ovest nel 1979 e che conta esempi anche oltre Manica e oltre Oceano. Come il centro commerciale “Galleria at Ereview” di Cleveland, in Ohio, che oggi ospita una serra. A Dalston, nel municipio di Hackney, East London, tra i centri di ricostruzione unghie e le agenzie di scommesse di Dalston Lane – i pochi commerci sopravvissuti alla crisi – spicca la facciata verde di Farm: Shop, un ex centro di accoglienza per donne come testimoniano telecamere a circuito chiuso e recinzioni sul tetto. È una vera e propria fattoria-negozio: in una sala ottanta tilapie nuotano in due vasche d’acqua e ciuffi di insalata germogliano sulle mensole. Nel cortile pomodorie peperoni maturano in giardino, mentre nello scantinato crescono funghie sul tetto galline covano uova.

«La distanza tra la gente e quello che è mangia è sempre più ampia.

Il nostro obiettivo è ridurla, riavvicinare la gente al cibo», spiega il cofondatore Paul Smith. «Entrano, mangiano, ci chiedono come funziona e spesso finiscono col venire a piantare le proprie verdure in giardino».

Il Farm Shop è solo uno dei tanti progetti sostenuti dal municipio di Hackney che, nell’ambito del programma “Art in empty spaces”, offre spazi vacanti perché diventino piattaforme d’iniziative locali.

Nascosto dietro a un’alta palizzata di legno, un tratto dismesso di ferrovia è diventato un giardino, il Dalston South Curve Garden, dove i cittadini si ritrovano per godere della frescura degli arbusti o piantare ortaggi e verdura.

«La gente può rilassarsi e condividere esperienze», spiega Feimatta Conteh. «Siamo noi la risposta all’abbandono delle vie dello shopping. Progetti come il nostro infondono più energia alla comunità  di un semplice negozio», conclude la regista Doyle. Il suo auspicio è che Utrophia non debba più traslocare. «È stimolante creare progetti in posti diversi, ma ogni volta ti chiedi se abbia senso investire tanto denaro ed energie se prima o poi sarai costretto ad andare. Vogliamo che questa diventi la nostra sede permanente».


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