by Editore | 14 Marzo 2012 12:12
In particolare, in questo frangente, molte associazioni hanno protestato per l’accorpamento al Ministero del lavoro dell’Agenzia del Terzo Settore, l’organismo indipendente che raccoglie le istanze di un mondo, quello del no profit, indispensabile non tanto per la crescita del paese ma proprio per mantenerne in funzione l’ossatura per tenere in piedi l’Italia. Alla fine Monti sarà capace di comprendere che il futuro va nella direzione di un sempre maggiore protagonismo di quella che si chiama economia civile? A sentire cosa dicono certi sottosegretari pare proprio di no.
Abbiamo girato alcune di queste considerazioni al professor Stefano Zamagni, uno dei massimi esperti di questo nuovo modo di pensare l’economia e la società , nonché Presidente del Forum del Terzo Settore. Zamagni ci ha concesso questa intervista esclusiva che tocca vari temi.
Professore, come valuta il provvedimento governativo che ha portato alla sostanziale chiusura dell’Agenzia da lei presieduta?
Quella dell’Agenzia del Terzo Settore è una brutta storia, perché indica a tutto tondo come nella nostra classe dirigente sia scomparsa la cultura del civile. E dire che l’Italia è il paese che ha dato i natali al modello di civiltà cittadina a far tempo del XII secolo. Permane l’idea di un ordine sociale fondato sulla diade pubblico e privato, vale a dire Stato e mercato. Eppure l’impianto concettuale della nostra Costituzione è basato sulla triade pubblico, privato, civile, vale a dire Stato, mercato, e organizzazioni della società civile (il cosiddetto terzo settore). Questo significa che i padri costituenti avevano visto assai più lontano di coloro che sono venuti dopo. Mai si dimentichi che in Italia anche il liberismo è sempre stato, salvo rare eccezioni, pro-statalista. L’unico pensatore di livello che da sempre si batté per il modello di economia civile di mercato fu Luigi Sturzo, ma risultò sconfitto.
Adesso il governo vuole riprendere la supervisione sulla società civile. Si va proprio nella direzione opposta da quella da lei auspicata…
Esatto. Riportare le funzioni e i compiti dell’Agenzia in seno al Ministero del Lavoro significa proprio questo: non riconoscere la piena autonomia ai corpi intermedi della società , riconducendone l’operato al controllo e alla vigilanza di un ente della pubblica amministrazione. La giustificazione addotta della mancanza di fondi non regge, perché non vera!.
Si dice che bisogna lottare contro gli sprechi e che bisogna liberalizzare. Ma da soli questi provvedimenti valgono?
Le liberalizzazioni, di per sè, sono necessarie ad un’economia di mercato. Non si può valere l’una senza volere le altre. Il punto è come si va a realizzarle. Due le condizioni che vanno rispettate. Primo, il processo di liberalizzazione deve essere trasversale, deve cioè riguardare tutti i settori dell’economia. Monopoli e oligopoli pubblici non sono meno dannosi di quelli privati. Secondo, occorre tener conto delle esternalità pecuniarie che sempre le liberalizzazioni portano con sè. E quindi occorre prevedere adeguati schemi di compensazione per coloro che, nel breve termine, perdono o ci rimettono dai provvedimenti di liberalizzazione.
Parlando di trasversalità , come valuta lo scontro sull’IMU sugli immobili degli enti ecclesiali e delle organizzazioni di volontariato?
Questa è stata una autentica bufale! Il governo non ha introdotto nulla di nuovo rispetto alla legislazione preesistente. Si è, infatti, limitato ad interpretare a chiosare una serie di norme già esistente. La verità allora è un’altra: negli anni non si sono fatti con intelligenza i controlli e le verifiche che la legislazione già prevedeva. E allora è accaduto che enti non profit, che svolgevano negli stessi luoghi attività commerciale e non commerciale, estendessero in modo illecito i vantaggi fiscali riconosciuti all’attività non commerciale a quella commerciale. L’altra fonte di incomprensioni e diatribe, che dice della ignoranza economica di gran parte della popolazione, è quella di confondere i concetti di lucro, profitto, utile netto, da un lato e di non distinguere tra distribuzione degli utili e reinvestimento degli stessi, dall’altra.
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