Voci di golpe in Cina Il maoista Bo in arresto

by Editore | 23 Marzo 2012 8:50

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PECHINO — Il golpe che non c’è stato ha fatto una vittima. Sotto i colpi di indiscrezioni e sospetti, è stramazzata l’opaca monotonia che accompagna la routine politica della Cina. Non era stata una cosa normale, in febbraio, la fuga dell’ex capo della polizia di Chongqing, Wang Lijun, in un consolato Usa. Inusuale pure la rimozione del suo ex mentore Bo Xilai, potente e ambizioso segretario del Partito di Chongqing, meno di 24 ore dopo che il premier Wen Jiabao ne aveva demolito, senza citarlo, gli ammiccamenti alla Rivoluzione Culturale. La somma di due eventi eccentrici ha innescato curiosità  e dubbi che hanno intaccato la distante sacralità  dei leader.
I blocchi on line alla ricerca di nomi e termini sensibili sono solo il contorno di un nervosismo che si alimenta nell’attesa del congresso del Partito comunista (in autunno dovrà  rinnovare 7 su 9 membri del comitato permanente del Politburo, cuore del potere). I microblog scavalcano la censura ribattezzando Wen «Teletubby» e Bo «pomodoro». Le notizie, inverificabili, saldano le tensioni al vertice con gli sviluppi del caso Chongqing. Si è parlato di liti nel Politburo, con un Hu Jintao – il segretario del Partito – in difficoltà  nel tenere il controllo della situazione. Il Financial Times ha rivelato di come Wen non solo abbia scaricato Bo Xilai, inviso a lui e a Hu, ma avesse intenzione di avviare un ripensamento della repressione della Tienanmen (1989), spartiacque della storia recente. Wen attraversò la crisi accanto a Zhao Ziyang, segretario del Pcc poi purgato perché morbido con gli studenti, ma sopravvisse politicamente, come la sua carriera dimostra. Il tentativo di rilettura storica, se vero, sarebbe legato ai richiami a riforme politiche viste come necessarie all’evoluzione economica della Cina e alla sua stabilità .
E se a Pechino riformisti e no si confrontano, Chongqing viene normalizzata. Il personaggio che lega la metropoli occidentale con la capitale sarebbe Zhou Yongkang, colui che tra i 9 ha il controllo della pubblica sicurezza. Zhou e Bo sarebbero (stati) alleati e un portale di informazione con sede negli Usa, Mingjing News, attribuisce loro un’ipotesi di golpe per ostacolare l’ascesa di Xi Jinping, segretario «in pectore» del Partito. Bo avrebbe acquisito l’anno scorso 5 mila fucili «per farsi un esercito privato». Wang Lijun sarebbe stato il suo uomo anche in questo, oltre che nelle campagne anticrimine, salvo venir messo da parte — secondo una registrazione appena resa nota — quando avvertì Bo di un’indagine a carico di un membro della sua famiglia.
Bo e la moglie sarebbero indagati, probabilmente in stato di fermo (senza conferme). Restano tanti misteri, come i 150 brevetti di cui sembra titolare Wang, dagli impermeabili rossi per le poliziotte di Chongqing a un sistema di monitoraggio degli Internet café. Ancora più oscuro, ciò che accade nelle segrete stanze. Tra gli aspetti visibili del nervosismo dei leader, la rinnovata campagna rivolta all’esercito perché ubbidisca al Partito, al quale anche gli avvocati devono giurare fedeltà , obbligo appena varato. Quanto al resto, che l’opinione pubblica intraveda divergenze in una leadership presentatasi sempre unanime è già  da solo, se non un colpo di Stato, almeno un colpo di scena.

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