Vie di fuga da identità  colonizzate

by Editore | 29 Marzo 2012 6:54

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Il libro è innanzitutto una sintesi teorica e metodologica degli studi culturali e postcoloniali e dei diversi approcci allo studio delle migrazioni femminili e, in secondo luogo, un’indagine sul rapporto tra esperienza coloniale ed esperienza migratoria. Attraverso un approccio interdisciplinare, l’autrice tiene insieme la questione della soggettività  migrante postcoloniale, del lavoro domestico e di cura e infine la storia del colonialismo e della decolonizzazione. Le migrazioni femminili dall’Eritrea vengono quindi interrogate a partire dal legame pregresso con il paese coloniale: le eritree in Italia oggi, come le eritree in un’Italia parallela e coloniale ieri.
Al centro di questa ricostruzione teorico-metodologica si colloca infatti la questione dell’esistenza di un passato legame coloniale fra il paese di provenienza delle migranti e l’Italia. Dalle 15 interviste raccolte attraverso una ricerca sul campo intorno al lavoro domestico delle migranti eritree in Italia, condotta a Roma tra il 2007 e il 2008, la dimensione postcoloniale emerge sia come un’ambivalenza intrinseca alla rappresentazione coloniale, sia come uno spazio di subalternità  all’egemonia del colonizzatore; sia, infine, come luogo di resistenza e di risignificazione. 
La tesi di fondo sostenuta dall’autrice è che le eredità  del colonialismo «hanno giocato un ruolo fondamentale nel controllo, nella etnicizzazione e nella discriminazione delle donne migranti nell’Italia contemporanea». L’esperienza coloniale, e la dimensione postcoloniale che l’accompagna, sembrano infatti oscurare quell’elemento fondamentale dell’esperienza delle migranti che è il loro essere prima di tutto donne, coinvolte dentro a una divisione sessuale del lavoro, inserite in un mercato del lavoro segregante che investe tutte le donne e che crea gerarchie e asimmetrie di potere tra di loro. 
Dare senso a queste esperienze significa pensare alla dimensione paradossale della cittadinanza che le migranti hanno di nuovo «infiammato» e che, oltre l’ambiguità  della postcolonialità , può rappresentare un orizzonte di ripensamento dei femminismi e delle lotte. E questo è tanto più vero in un momento in cui, a dispetto della tanto invocata femminilizzazione del lavoro, la divisione sessuale del lavoro, seppure attraversata da nuove linee di frattura e dispiegata in una dimensione transnazionale, è ancora estremamente presente. 
A fronte di una ricca analisi sociologica e di un apparato teorico raffinato, resta così da indagare come il «capitale culturale postcoloniale» determini in una certa misura identità  migratorie più o meno definite. Questa ambiguità  conduce i «soggetti postcoloniali» che migrano nella condizione di non poter «cambiare radicalmente la propria posizione all’interno dell’ordine patriarcale e postcoloniale». Questo «capitale culturale femminile» sembra diventare un’identità  vischiosa e permanente, un’ipoteca assoluta, dalla quale non si vede via di fuga, impermeabile a esperienze di rottura, di soggettivazione e di conflitto. La dicotomia, declinata al femminile nel lavoro domestico e di cura, tra colonizzatrice e colonizzata sembra così riprodursi all’infinito, instabile perché permeabile a negoziazioni ma anche insuperabile proprio perché continua. 
Le migrazioni delle donne, d’altro canto, contengono anche un percorso soggettivo legato al presente e a una prospettiva di rovesciamento del futuro, un tentativo di sconfinamento da un orizzonte dato. L’esperienza delle donne migranti costituisce anche una rottura col passato che permette di rimettere in gioco trasformazioni continue. Le migranti stanno al centro di una contraddizione per cui, mentre sono protagoniste di una doppia precarietà , destabilizzano le identità  e i ruoli loro assegnati, attraversando i confini della cittadinanza. Il rapporto con il passato coloniale, ma anche con il presente della migrazione, lascia aperte molte questioni. Una tra queste è proprio il dilemma di un orizzonte trasformativo in bilico tra spazi di libertà  individuali e spazi politici collettivi. Le migrazioni delle donne non sembrano riducibili alla postcolonialità , poiché continuano a costituire un laboratorio, seppur controverso, di esperienze e di trasformazioni che non lascia intatta alcuna identità  definita, rovesciando le eredità  culturali e scompaginando i ruoli patriarcali, ma sopratutto apre nuove questioni non solo per le migranti, ma per le donne e per la politica delle donne in generale.

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