Via alla consultazione-truffa
Con la consultazione telematica sull’abolizione del valore legale del titolo di studio il governo dei professori ha superato la linea d’ombra dell’approssimazione per raggiungere la spiaggia della manipolazione. Il questionario a risposta multipla pubblicato ieri sul sito del ministero dell’istruzione e sottoposto al giudizio della cittadinanza è composto da 15 quesiti con due risposte certe e una tendenziosa. All’inizio, l’andamento è apparentemente neutrale («Come giudicate la necessità di possedere uno specifico titolo di studio per poter esercitare una determinata professione?», oppure: «Ritenete necessario il possesso di uno specifico titolo di studio per l’accesso al pubblico impiego?»).
Dopo avere scaldato i motori, e rassicurato sulla presunta oggettività della consultazione, gli estensori perdono le remore e impostano una sequenza di domande che presuppongono l’abolizione del valore legale. Ad esempio: «Per quali finalità ritenete possa essere utile una differenziazione tra titoli di studio nominalmente equivalenti?». E poi: «Ai fini di un’eventuale differenziazione di titoli di studio , quali valutazioni ritenete che dovrebbero rilevare?».
In questi casi, chi non intende rispondere né A né B, poiché entrambe le risposte esprimono l’adesione alla prospettiva abolizionista, viene relegato in C, lì dove tutte le vacche sono nere. Così facendo il ministero inserisce i contrari in una percentuale di incerti che non potranno motivare le ragioni del loro voto. Al momento delle percentuali finali, dunque, queste persone verranno inserite nella categoria degli incerti, oppure dei «non so», insomma di coloro che non sanno cosa rispondere e sottoscrivono la terza via sempre perdente.
Vecchi trucchi ricorrenti sin dal tempo degli esami per la patente, e ampiamente riconoscibili per chi si danna nei test d’ingresso ai corsi di laurea, oppure nelle preselezioni ai concorsi pubblici (che, com’è noto si svolgono prima di valutare il valore legale della laurea o le competenze di un candidato davanti alla commissione).
La consultazione terminerà il prossimo 24 aprile, ma gli studenti sono stati velocissimi a formulare un’analisi: «Non è una consultazione ma – spiega Michele Orezzi dell’Udu – un tentativo di fuorviare la realtà e indirizzare la consultazione». La richiesta è di ritirare immediatamente la consultazione, definita «un’operazione di mistificazione di massa», e di coinvolgere il Consiglio nazionale degli studenti (Cnsu) e il Consiglio Universitario Nazionale (Cun).
Di «truffa» parla il coordinamento universitario Link secondo il quale «il percorso a ostacoli è molto complesso per uno studente». «La consultazione – ha aggiunto il portavoce Luca Spadon – non può ridursi ad un plebiscito finalizzata a legittimare una linea politica già stabilita a priori». In questa operazione i dottorandi dell’Adi riscontrano l’intenzione del governo di penalizzare «le università territorialmente svantaggiate», ciioè una divisione tra l’«eccellenza» degli atenei del Nord e la «serie B» di quelli del Sud. «Continua la campagna accademico-mediatica non tanto, per il momento, per abolire il valore legale del titolo, ma – commenta l’Andu (Associazione nazionale docenti universitari) – per azzerare il valore del voto della laurea e sostituirlo con il valore dell’Università che rilascia il titolo».
Circola tra gli studenti e i ricercatori nelle ore che precedono l’assemblea a Bologna «Università bene comune» una doppia ipotesi: boicottare la consultazione, oppure promuovere un sondaggio alternativo. Un successo del 70 o 80% permetterebbe al governo «liberalizzatore» di festeggiare un nuovo scalpo, dopo quello della Cgil sull’articolo 18.
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