Val di Susa, Italia sui media senza mediazione

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Ma, soprattutto, perché le strategie adottate dai comitati No Tav hanno imposto la Val di Susa sulla scena nazionale. Costringendo le forze politiche nazionali – e lo stesso governo – a esprimersi, a “prendere parte”. E a dividersi, al di là  delle attuali alleanze. 
La prima e principale ragione di questo “successo” – perché di tale si tratta – riguarda la strategia “mediatica” dei No Tav. Anzi: la scelta dei media come “campo” (utilizzo volutamente la definizione di Bourdieu) del confronto e dello scontro. Ogni loro iniziativa e azione, infatti, produce effetti rilevanti sul piano della comunicazione. Per scelta consapevole.
Quando la protesta si svolge nella valle: la ricerca del contatto diretto con le forze dell’ordine, il tentativo di superare ogni limite e ogni confine “di sicurezza” imposto. Testimoniata e ripresa da telecamere e giornali. Talora con effetti indesiderati, come nel caso delle provocazioni del militante No Tav contro il carabiniere (impassibile, di fronte agli insulti). Ma la protesta ha grande impatto – sociale e mediale – soprattutto quando la scena si trasferisce altrove. In teatri scelti accuratamente. Milano e Roma, in primo luogo. Le Capitali del Paese. Dove sono avvenute iniziative che hanno prodotto grande disagio ai cittadini e all’economia. Il blocco di linee ferroviarie e di autostrade. Manifestazioni in pieno centro, tali da provocare conseguenze clamorose sul traffico e, quindi, sulla vita quotidiana delle persone. Forme di protesta analoghe a quelle condotte nelle scorse settimane dai tassisti e dai camionisti. Che hanno paralizzato per giorni le principali città  e alcune tra le maggiori arterie di comunicazione autostradale.
I No Tav hanno agito – continuano ad agire – allo stesso modo. In questo modo le loro proteste sono rimbalzate immediatamente sui media. Non solo sui blog e sui Social Network. Dove le immagini e le ragioni della protesta sono state rilanciate, grazie al sostegno dei movimenti critici e dei circoli antagonisti, che hanno grande confidenza con la Rete. Perché l’Altra Comunicazione non basta ai Comitati No Tav, ai quali interessa molto entrare sui media tradizionali: giornali, radio e soprattutto la tv. Attraverso cui si informa la maggior parte della popolazione (l’83%, secondo l’Osservatorio Demos-coop dicembre 2012). In questo modo, la Val di Susa è uscita dai confini locali ed è divenuta un caso “nazionale”.
Ineludibile per i partiti e i soggetti politici più importanti. Tanto più perché l’opinione pubblica, al di là  dei giudizi di merito, tende a mostrare comprensione verso le proteste di ceti e settori popolari, com’è avvenuto nei confronti dei camionisti e dei tassisti. E quasi metà  della popolazione (il 44%, per la precisione), secondo l’Ispo di Mannheimer (per il Corriere della Sera), approva le rivendicazioni dei No Tav. I quali hanno riprodotto il repertorio della protesta “non convenzionale”, condotta dalle categorie “minoritarie”. Non solo i blocchi ferroviari, stradali e autostradali. Ma anche le iniziative individuali estreme, condotte da figure sociali altrimenti dimenticate (e dunque invisibili): i disoccupati che salgono sulle gru e i cassintegrati che si trincerano nel carcere dell’Asinara. 
I No Tav, cioè, non solo cercano, ma “esigono” l’attenzione dei media. (E per questo hanno manifestato di fronte alla sede di Repubblica). Per far diventare il caso della Val di Susa di “pubblico interesse”. In senso letterale: di interesse “del pubblico”. Nazionale. A differenza di quel che è avvenuto per il Dal Molin. La nuova base militare americana, alle porte di Vicenza. Concessa – in segreto – dal governo Berlusconi e confermata dal governo Prodi nel 2007. Contro la volontà  della maggioranza della popolazione, che partecipò ad alcune manifestazioni di massa. (Ho marciato anch’io, più volte). E votò un referendum, come quello proposto oggi da Sofri. Promosso nel 2008 con il consenso della nuova amministrazione di centro-sinistra (nonostante l’opposizione del Consiglio di Stato). Senza esiti concreti, visto che la base Usa, ora, è praticamente finita. Appariscente e inquietante, nella sua “grandezza” immobiliare. Tuttavia, a differenza della rivendicazione No Tav, il movimento No Dal Molin – tuttora attivo – è rimasto ancorato alla realtà  locale. Lontano dagli occhi e dal cuore dell’Opinione Pubblica italiana, lontano dai centri del potere nazionale. 
La protesta della Val di Susa, invece, ha rimesso in discussione le decisioni in merito alla Tav. Nonostante il governo e le forze politiche della maggioranza ribadiscano che la Tav verrà  realizzata. Nel rispetto degli accordi presi in sede Ue. Tenendo conto dei colloqui e delle discussioni precedenti con i sindaci e i governi territoriali. Tuttavia, queste precisazioni suggeriscono come il caso sia stato comunque riaperto. Perché è “politicamente” e “mediaticamente” rilevante. In una fase, come questa, segnata dalla debolezza dei partiti. E da un governo (sedicente) “tecnico”, che ha bisogno di garantirsi il consenso sociale bypassando i partiti. Dunque, riservando grande attenzione ai media. 
È significativo, a questo proposito, come i partiti “esterni” alla maggioranza tentino di sfruttare la situazione a proprio favore. A costo di contraddire se stessi. L’Idv sostiene la protesta, anche se Antonio Di Pietro, quand’era ministro dei Lavori pubblici, aveva approvato la Tav. La Lega, al contrario, anche se sta all’opposizione, si associa alla maggioranza. E chiede, anzi, intransigenza contro la protesta dei No Tav. Per motivi tattici, anche in questo caso. Perché il movimento No Tav mette in discussione il monopolio della Lega nella rappresentanza delle rivendicazioni territoriali nel Nord. Anzi, la fa apparire “ostile” verso le domande dei cittadini del Piemonte, governato dalla Lega. 
Così, i No Tav e la loro rivendicazione hanno assunto rilievo politico e mediatico nazionale. O viceversa. Il che è lo stesso. Perché la comunicazione – nuova e prima ancora tradizionale: la rete insieme ai giornali e alla tv – è ancora il vero “campo” dove avviene il confronto politico. E mentre gli attori e i leader politici, travolti dall’impopolarità , se ne stanno nascosti nel retroscena oppure passano il tempo nei salotti, sulla ribalta emergono nuovi interpreti. Da un lato: i “tecnici”, che usano la “competenza” come risorsa di legittimazione politica e mediatica. Dall’altra: i movimenti e le comunità , impegnati a trasformare storie locali in romanzi popolari di grande impatto emotivo.


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