by Editore | 30 Marzo 2012 6:40
Adrienne Rich, sessant’anni anni di poesia: coerenze e mutamenti che costeggiano e modificano la storia della poesia statunitense (e per molti versi della poesia tout court), muovendo da una scrittura assai curata e per così dire «tradizionale», che è stata ricondotta all’influenza di Auden e Yeats – inevitabile esempio è la sua prima raccolta, A Change of World, pubblicata dopo aver vinto nel 1950 lo Yale Younger Poets Award – a lavori che, a partire dagli anni Sessanta, sempre più mettono in questione ogni regola, sul piano formale e nei contenuti apertamente femministi e di forte impatto politico.
Eppure già in quel volume, così attento a metro e rime, così apparentemente aderente alle convenzioni poetiche, una infrazione tematica metteva in primo piano l’ottusa pesantezza di tanta quotidianità femminile, la fatica inane di Zia Jennifer che ricama tigri lucenti mentre sulla mano le grava massiccio e l’imprigiona l’anello nuziale: «Quando la Zia sarà morta, le sue mani terrorizzate si poseranno / Ancora inanellate dalle ordalie che l’hanno domata. / Le tigri nel pannello che lei fece / Continueranno a impennarsi, orgogliose e impavide».
Il «comodo campo di concentramento» di cui parla Betty Friedan in La mistica della femminilità , quell’insieme di modelli e doveri e restrizioni e «privilegi» che potentemente incanalavano l’esistenza delle donne, saranno poi chiamati in causa anche in Istantanee di una nuora (1967), impietoso ritratto di vite rinchiuse in cui la mente va «in disfacimento come una torta nuziale, / appesantita d’inutile esperienza»; riconoscere l’errore compiuto accettando quelle regole e così sfuggirvi implica un duro prezzo – «Una donna che pensa dorme coi mostri» – ma anche la possibilità di un futuro diverso.
Sempre nelle poesie, che aprendosi al linguaggio colloquiale andranno a sperimentare inedite cadenze e fratture, e anche nei saggi, che da un lato chiariscono la sua visione culturale e poetica, e dall’altro più esplicitamente riflettono su tematiche sociali, spesso affrontando questioni di scottante attualità , Rich ha intrecciato il racconto e l’analisi delle sue esperienze a un lucido esame delle dinamiche sociopolitiche.
Si è fatta così testimone critica della storia del Novecento e del difficile passaggio di millennio – fino a definirsi nel 2001 «una scettica americana», ancora convinta che si possano e si debbano cercare giustizia e dignità , e però così delusa dal ruolo «de-moralizzante e destabilizzante» che gli Stati Uniti hanno avuto a tal proposito da vedere «in uno scetticismo appassionato, né cinico né nichilista, il terreno da cui proseguire» questa ricerca.
Voce amata e rispettata del movimento delle donne statunitense, Rich è stata significativa per il pensiero femminista anche in Italia – dove forse la sua elaborazione teorico-politica è stata più nota della sua poesia, che pure «tuffandosi nel relitto» (Diving into the Wreck, 1973) indaga a fondo le oscure profondità dell’esperienza femminile, la necessità di essere «per codardia o coraggio / quella che troverà la via / per entrare di nuovo in scena / con un coltello e una macchina fotografica / un libro di miti / in cui / non compaiono i nostri nomi».
In particolare, vanno ricordate le sue riflessioni sull’importanza di privilegiare le relazioni tra donne, riconoscendo un «continuum lesbico» che non necessariamente include le scelte sessuali – per quanto esse debbano trovare libera espressione, sfuggendo al diktat di una «eterosessualità obbligatoria» – ma che certamente prevede il riconoscimento della centralità di mediazioni femminili; la «re-visione» dell’eredità culturale del patriarcato, da guardare con occhi consapevolmente «differenti» si è rivelata fruttuosa e liberatoria, portando a riletture e riscritture molteplici di testi e figure del passato; resta cogente l’invito a essere «infedeli alla civiltà », di cui Rich parlava nel 1978 guardando alla questione del rapporto tra donne nere e bianche, e che si può considerare quasi una riformulazione, in tempi di coinvolgimento nel potere delle donne, in molta parte del mondo non più escluse da cariche pubbliche, della chiamata all’estraneità di Virginia Woolf; e mentre ancora per tante giovani donne troppo difficile rimane il «doppio sì», la possibilità di avere figli e un lavoro senza essere penalizzate, continua a parlarci la lucida durezza con cui in Nato di donna, a partire dalla difficoltà esperite come giovane poeta madre di tre bambini, interroga e decostruisce le istituzioni del matrimonio e della maternità e i loro meccanismi alienanti.
Non il distacco di una torre eburnea, ma l’essere presente e partecipe della Storia senza che ciò cancelli il valore della quotidianità e gli insegnamenti dell’esperienza; non l’anelito a una serena imparzialità da cui distillare poesia, ma l’accettazione creativa della rabbia che nasce di fronte a ingiustizia e oppressione; non la ricerca di un’arte fine e metro di se stessa, ma il continuo affondare nelle vicende della propria vita e in quelle del mondo, cercando di trovare il magico punto di convergenza tra poesia e impegno sociale – sono questi i giochi di equilibrio in cui Rich si è provata tutta la vita, diventando per donne e uomini una maestra di coerenza, per le donne una voce che a tutte dava voce, e lasciando a chi ama la poesia un opus ricco e meraviglioso per consolarsi della sua scomparsa.
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