Un emendamento ostacolo alla giustizia

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Sembra che sia presa in seria considerazione l’ipotesi di estendere la responsabilità  personale del giudice ai casi di violazione manifesta del diritto. Ma, in questi termini generali, si tratterebbe di un’innovazione non appropriata: la violazione manifesta del diritto può essere posta a base di una responsabilità  dello Stato (ed è ciò che richiede la Corte di Giustizia europea per il caso della violazione di regole comunitarie), ma non è ragionevole porla senz’altro a fondamento anche di una responsabilità  personale del giudice; essa infatti costituisce una caratteristica oggettiva della decisione errata, mentre una responsabilità  personale, rivolta a uno scopo sanzionatorio, deve essere collegata solo alla soggettiva inescusabilità  della colpa. Le due ipotesi sono distinte e non necessariamente collegate. Se, per esempio, la sentenza è in indiscutibile contrasto con la disposizione di un comma, che però era nascosto fra centinaia di altri in una legge finanziaria omnibus di diversi anni anteriore, che non faccia parte della normale cultura giuridica e della quale nessuna delle parti interessate abbia parlato nel corso del processo, vi sarà  oggettivamente una manifesta violazione del diritto, ma non si può parlare di una colpa inescusabile. La colpa grave e inescusabile non costituisce semplicemente uno degli elementi da considerare, secondo quanto prevede l’emendamento apportato dalla Camera dei Deputati e attualmente in discussione, bensì il fondamento e il presupposto necessario di qualsiasi sanzione nei confronti del giudice o, più in generale, del magistrato. Una più ampia responsabilità  costituirebbe un’enormità  senza confronti, grave ostacolo al buon funzionamento del sistema giudiziario, oltre che un’ingiustizia nei confronti del singolo.
Inoltre, la stessa responsabilità  dello Stato per violazione manifesta del diritto dovrebbe, in conformità  di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia europea, riferirsi solo alle ipotesi di violazione di regole europee da parte dell’organo giudiziario di ultimo grado, trattandosi qui dell’esigenza di assicurare un rispetto uniforme delle regole dell’Unione da parte di tutti gli Stati nazionali, ed essendo a questo scopo disposto che, nel caso di dubbio, il giudice nazionale di ultima istanza deve rivolgersi alla Corte europea. Ma lo stesso non può valere per le violazioni di norme puramente interne: l’idea che la parte insoddisfatta di una sentenza della Cassazione possa rivolgersi a un Tribunale per chiedergli di dire che la Cassazione ha sbagliato e lo Stato deve pagare è semplicemente grottesca, mentre la violazione mediante un provvedimento impugnabile deve trovare rimedio nell’impugnazione. La garanzia giudiziaria sta nel sistema delle impugnazioni e, esaurite queste, la questione deve considerarsi chiusa.
Quanto alla possibilità  che il giudice sia direttamente attaccato da parte del soggetto che si ritiene ingiustamente danneggiato, anziché essere solo esposto a un’eventuale e parziale rivalsa da parte dello Stato che abbia pagato il risarcimento, essa pure costituirebbe una singolarità , nel confronto con gli altri ordinamenti giuridici, causa di distorsione degli incentivi nel procedimento decisorio, com’è stato sottolineato, da ultimo, dal Consiglio superiore della magistratura, poiché il magistrato potrebbe sentirsi indotto a preferire, fra le diverse soluzioni possibili, non già  quella più corretta, ma quella — che può essere diversa — che implichi per lui stesso il minor rischio di essere esposto a un’azione per danni. Tra l’altro, una regola di questo genere implicherebbe che, dopo aver litigato con la controparte in Tribunale, Appello e Cassazione, la parte insoddisfatta dell’esito finale possa continuare la lite, sugli stessi fatti, questa volta contro il giudice. Perciò, di nuovo: Tribunale, Appello e Cassazione. Secondo questa logica, poi, se anche questa volta la parte insoddisfatta ritenesse che il risultato sia dovuto a colpa grave del nuovo giudice, si dovrebbe ammettere che possa intentare un’azione contro di questo, sempre sui medesimi fatti? E poi? Di nuovo? 
Qui si vede che il rimedio contro l’ingiustizia deve provenire pur sempre necessariamente da un altro giudice. E allora è chiaro che il rimedio principe consiste in regole procedurali che consentano un controllo rapido e un’immediata correzione del provvedimento dannoso. L’eccessiva durata dei procedimenti d’impugnazione e controllo costituisce il vero problema e il luogo d’intervento per una soluzione efficace. Una volta assicurati rapidi controlli e correzioni, le possibilità  di danno ingiusto si riducono radicalmente. E per la prevenzione di questa possibilità  residua il solo mezzo appropriato ed efficace è quello della responsabilità  disciplinare, oltre alla reintroduzione della carriera per merito.
L’esigenza, sentita e largamente diffusa, di prevenzione, controlli, e sanzioni degli errori gravi è seria e va rispettata; ma la soluzione non può ridursi a formule semplicistiche e richiede una riflessione pacata.

*Professore emerito di Diritto civile
all’Università  Statale di Milano


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