Ucciso a colpi di mortaio
Marina Forti
La guerra infinita torna a farsi sentire. Un soldato italiano è stato ucciso in Afghanistan, e cinque sono rimasti feriti (due gravemente, una sarebbe una donna), in un attacco condotto dai ribelli contro una «base avanzata» della Nato nel Gulistan, nel settore sud-orientale della zona sotto la responsabilità italiana. Sale così a 50 il numero dei soldati italiani della missione Isaf morti in Afghanistan dal 2004.
Michele Silvestri, il soldato ucciso, era un sergente, bersagliere del 21mo reggimento Genio della brigata Garibaldi di Caserta. Non si conoscono le condizioni dei militari feriti, trasferiti in elicottero all’ospedale militare da campo più vicino, a Delaram presso un comando americano.
La base «Ice» è stata assaltata a colpi di mortaio verso il tramonto, intorno alle 18 locali, informa il ministero della difesa italiano – e precisa che si è trattato di un vero attacco, non di un attentato. La base era già stata attaccata in mattinata, con colpi di mortaio finiti però «fuori perimetro». E il secondo attacco è terminato solo dopo l’intervento pesante degli elicotteri Mangusta.
In questo periodo la Brigata Garibaldi (con due reggimenti) sta dando il cambio alla brigata Sassari al comando della regione ovest della missione Isaf-Nato, ampia zona composta dalle province Herat, Badghis, Ghowr e Farah. E se Herat è spesso indicata come relativamente tranquilla – tanto che la città è stata tra le prime dove nel luglio scorso la Nato ha ceduto alla polizia afghana la responsabilità della sicurezza – non così vale per la provincia meridionale di Farah, con il distretto di Gulistan.
La notizia della morte di un militare italiano ha suscitato dichiarazioni di cordoglio in Italia – dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano, che ha espresso «profonda commozione» e «solidale partecipazione al dolore dei familiari del caduto» – al ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, a numerosi esponenti politici.
L’attacco contro la base italiana sottolinea il momento di grande incertezza per le forze Nato in Afghanistan. Appena un mese fa i Servizi segreti hanno lanciato un allarme, nella relazione sullo stato della sicurezza consegnata al Parlamento: dove parlano di «cornice di sicurezza assai precaria», perché «gli elementi di criticità del 2011 sembrano destinati a perdurare nel breve-medio termine» e pertanto «resta elevato il livello della minaccia» per i militari italiani e per il personale civile straniero. La relazione afferma infine che il processo di transizione «rischia di fallire in assenza di adeguati progressi in tema di governance e sviluppo economico».
Che la «transizione» fosse a rischio era dunque chiaro anche prima della strage compiuta da un soldato statunitense nella provincia di Kandahar, due settimane fa, o delle proteste per le copie del Corano bruciate per sbaglio in una base Usa. Quella strage però ha fatto precipitare le cose, e la scorsa settimana i Taleban hanno deciso di sospendere i colloqui con gli Usa.
Il fatto è che la strategia dei paesi Nato per ritirarsi dall’Afghanistan è legata proprio alla «transizione», che significa da un lato passare le consegne a esercito e polizia afghani (su cui restano in realtà grandi dubbi), dall’altro negoziare con i Taleban. Dopo mesi di contatti avvenuti in segreto tramite la Germania, il negoziato politico sembrava avviarsi quando i Taleban hanno deciso di aprire un ufficio di rappresentanza in Qatar. Poi si è parlato di rilascio di prigionieri Taleban da Guantanamo (non ancora avvenuto). Ora la battuta d’arresto. Tanto che il generale John Allen, comandante delle truppe Usa in Afghanistan, ha dichiarato che preferirebbe avere «una forza di combattimenti significativa» nel 2013: cioè si preparerebbe a chiedere di sospendere il previsto ritiro di 23mila soldati il settembre prossimo. Se il dialogo riprenderà o meno, si vedrà dopo l’offensiva d’estate, a cui tutti si stanno preparando.
Per ora, in nome della «riconciliazione» con i Taleban il governo Karzai ha cominciato a fare concessioni sul terreno che gli è più facile, cioè sulla presenza delle donne nella società : la scorsa settimana ha ordinato che donne e uomini non si mescolino nei luoghi di lavoro o di studio, o che non appaiano con il volto truccato in tv, editti simili a quelli Taleban negli anni ’90.
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