by Editore | 27 Marzo 2012 7:33
La Tunisia resterà «uno stato libero, indipendente e sovrano, che ha l’Islam come religione di stato, l’arabo come lingua ufficiale ed è una repubblica». La prima decisione della Commissione incaricata di rivedere la costituzione tunisina, che ha rispettato l’articolo 1 nella forma voluta da Habib Bourghiba nel 1959, suscita un profondo sospiro di sollievo, in Occidente come in Tunisia. È una scelta che non rinnega le radici religiose musulmane, ma allo stesso tempo respinge i richiami delle frange radicali, che chiedevano il passaggio alla sharia come fonte di legge.
A prendere l’impegno di rispettare la formulazione dell’articolo 1 era stato Rachid Ghannouchi, leader dei musulmani moderati di Ennahda. Ancora prima di vincere le elezioni con il 40 per cento dei consensi, il partito islamico aveva preso l’impegno di non imporre svolte fondamentaliste. Niente velo obbligatorio per le donne, fra le più “occidentalizzate” del mondo arabo e orgogliose protagoniste della “Primavera”. Niente divieti per il consumo di alcolici, o per il pagamento degli interessi sui prestiti. Insomma, niente repubblica islamica sul Mediterraneo, almeno per ora.
La conferma dell’impostazione laica è ovviamente una garanzia anche dal punto di vista economico: la Tunisia conta sul turismo come risorsa fondamentale e una svolta in senso integralista avrebbe messo in pericolo i bilanci dell’intero Paese. Ma resta da capire se la scelta di Ennahda sia consolidata o rischi di essere rimessa in discussione dai conservatori all’interno stesso del partito, oltre a suscitare le critiche degli integralisti salafiti.
La frangia più radicale, che pure aveva subito la rivoluzione senza trovare il modo di governarla, nei mesi successivi alla fuga del dittatore Zine al-Abidine Ben Ali ha cercato di approfittare dell’incertezza politica e della crisi economica per conquistare maggiori consensi. Ma in generale la società tunisina sembra aver fatto propria la cultura laica a suo tempo imposta da Bourghiba. Questo vale in modo particolare per le città e i centri del nord e della costa, maggiormente esposti alle influenze europee. A Tunisi le manifestazioni integraliste hanno trovato risposta nei cortei di chi gridava: giù le mani dalla legislazione a tutela delle donne.
Nei giorni scorsi, però, mentre si discuteva della Costituzione futura, l’area radicale ha mostrato nuovi segni di turbolenza. Domenica migliaia di militanti salafiti sono scesi nella centralissima avenue Bourghiba, cuore della capitale, manifestando per l’adozione della sharia e avviando scontri con un gruppo di attori e artisti. Questi erano colpevoli di non aver voluto cedere agli integralisti la scalinata del Teatro nazionale in cui già avevano avviato una loro cerimonia per festeggiarne la giornata celebrativa. La polizia è intervenuta per separare gli schieramenti, ma non è riuscita a evitare la sassaiola e il lancio di uova sugli artisti. E non ha nemmeno fermato uno sceicco che incitava i militanti a «prepararsi per uccidere gli ebrei», invito che la folla accoglieva con boati di approvazione.
Qualche militante si è arrampicato sul monumento di piazza 14 gennaio per appendere la bandiera di Hizb Hettahrir, il “partito della libertà ” ultra-salafita. È un movimento fuori legge ma regolarmente tollerato, che chiede il ritorno al califfato e ha acquistato un certo peso nelle periferie e nelle campagne, grazie soprattutto alla predicazione delle moschee. Momenti di tensione anche all’aeroporto Tunisi-Cartage, quando i militanti salafiti hanno imposto alla polizia di lasciar passare il predicatore radicale Héni Sbai, appena arrivato da Londra: contro di lui vigeva – almeno formalmente – un divieto di ingresso in Tunisia emesso dal regime di Ben Ali.
In qualche modo, dunque, i salafiti vogliono mettere alla prova la scelta moderata del partito islamico. E la risposta della polizia, che nel centro della capitale ha tollerato persino l’appello ai pogrom e all’aeroporto ha obbedito alla prepotenza dei “barbuti”, non sembra un segnale positivo.
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