Trayvon, ucciso per un cappuccio in testa l’America in piazza per l’ultimo martire nero

by Editore | 23 Marzo 2012 8:57

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NEW YORK – Trayvon Martin aveva 17 anni, un pacchetto di caramelle in tasca e una lattina di tè freddo in mano, sulla testa il cappuccio della felpa che portano tanti ragazzi come lui, compreso il miliardario fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg. Solo che Trayvon era nero e per questo irrimediabilmente «sospetto» agli occhi di George Zimmerman, 28 anni, il vigilantes bianco, ex studente di Criminologia, che faceva il volontario nel paradiso blindato delle villette di Sanford, a pochi minuti da Orlando e dai sogni di plastica di Disneyworld. I vicini l’hanno sentito gridare disperatamente aiuto. Ma quando sono arrivati il povero Trayvon era già  una pozza di sangue lì per strada, la pallottola in testa sparata a bruciapelo da Zimmerman, che ora invoca la legittima difesa contro quel ragazzo disarmato – e assalito, sembra, pure con qualche complimento razzista. Legittima difesa vuol dire che il vendicatore bianco rischia di non essere neppure processato: grazie a una legge introdotta proprio in Florida 7 anni fa da un certo Jeb Bush, l’ultima stella della dinastia dei George, che consente a chi ha il «ragionevole dubbio» di sentirsi in pericolo di sparare per primo.
Non bisogna essere esperti di diritto per ritenere quella legge «abominevole»: come adesso dice anche il New York Times in un editoriale. Non bisogna avere la pelle nera per schierarsi con la più antica associazione per i diritti civili d’America, la National Association for the Advancement of Colored People, che ora grida all’omicidio razziale. E non bisogna neppure essere famosi e impegnati come Spike Lee, Mia Farrow, Michael Moore e le decine e decine di vip che hanno urlato la loro indignazione di blog in blog: basta un clic sul sito change.org, che in pochi giorni ha raccolto più di mezzo milione di contatti per sostenere la richiesta di Tracy Martin e Sybrina Fulton, i genitori di Trayvon – «Processate il killer di nostro figlio».
Sì, l’America che ha eletto il primo presidente nero scopre sulla pelle di un ragazzino che la razza fa ancora la differenza: in peggio. Ma quella stessa America non resta in silenzio. A New York migliaia di persone marciano con i genitori che chiedono giustizia: e tutti – nella manifestazione rilanciata dai ragazzi di Occupy Wall Street – indossano il cappuccio da rapper che agli occhi del vigilantes facevano di quel ragazzo che tornava dal negozio di caramelle un «sospetto». A Miami i ragazzi delle scuole abbandonano le lezioni per protesta e sotto le telecamere della Cnn mettono in scena un sit in da Anni Settanta. Decine e decine di pullman da tutti gli States si dirigono in Florida per un’altra manifestazione di protesta. E quasi un mese dopo la morte del ragazzo il Dipartimento di Giustizia decide finalmente di aprire un’inchiesta mentre – sfiduciato dal consiglio comunale – il capo della polizia di Sanford si “autosospende” temporaneamente.
Il fatto è che l’inchiesta non potrà  certamente fermare gli orrori di quella legge che intanto è stata copiata da altri 15 Stati. E che in sette anni ha già  triplicato nella sola Florida gli omicidi per legittima difesa in caso di dubbio: che colpiscono nella stragrande maggioranza i neri. Eppure le telefonate registrate dal 911 – il numero dell’emergenza di qui – lascerebbero, al contrario, pochissimi dubbi su questa storia.
Zimmerman fa il volontario da 12 mesi e da allora ha lanciato 46 allarmi alla polizia segnalando di tutto: dagli ubriachi al volante ai soliti sospetti. Non gli dev’essere sembrato vero, la sera del 26 febbraio, adocchiare «un tipo molto sospetto». Chiama il 911. «Questo tizio non sembra niente di buono: dev’essere drogato o chissacché», dice di quel ragazzo che sta invece tornando dal negozio di caramelle per andare a trovare la fidanzata che lo aspetta a casa di papà . «Questi stronzi – dice Zimmerman nelle registrazioni – La fanno sempre franca». La polizia gli dice di stare tranquillo, assicura che manderà  una pattuglia e gli intima di fermarsi lì, mentre il vigilantes fa sapere che vuole darci un’occhiata da vicino: «Non ce n’è bisogno», gli dicono gli uomini del 911.
Solo allora si sente una specie di colluttazione mentre anche i vicini chiamano la polizia e urlano che «c’è un ragazzo che grida aiuto». Ma non c’è più tempo. Trayvon si è già  accasciato sull’asfalto con tutte le sue armi: tè freddo e caramelle.

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