Tornano i barconi, cinque morti
LAMPEDUSA (Agrigento) — L’allarme su migliaia di migranti pronti a salpare per una ripresa di sbarchi a Lampedusa era stato lanciato dai servizi segreti con una relazione al Parlamento il 27 febbraio. E ieri l’avanguardia di questo nuovo esodo si è presentata con quattro carrette, quasi 300 persone a bordo, e con il suo carico di morti. Cinque uomini assiderati, in fuga da fame e guerre ma annientati dal freddo su un gommone schiaffeggiato nella notte da onde gelate.
È l’epilogo più drammatico di un copione che riporta alle tragedie dell’anno scorso: un gommone in avaria appena salpato dalla Libia, 57 disperati che, travolti dal mare agitato, lanciano nella notte messaggi accorati con un satellitare, le autorità di Malta che fingono di non sentire, le nostre motovedette che si muovono con una nave della Marina e, quando finalmente con la luce del giorno la pietà umana riesce a tendere una mano, la scoperta di cinque uomini già morti per ipotermia.
Nel linguaggio tecnico dei medici legali significa che ancora una volta nel Mediterraneo la speranza di raggiungere la terra promessa può soffocare nel peggiore dei modi. Dentro una bagnarola di dieci metri avvistata all’alba da un elicottero della Marina decollato dalla nave Bettica. A 85 miglia a sud di Lampedusa, cioè in acque vicine a Tripoli, di competenza maltese. Complesse le operazioni di due motovedette e un rimorchiatore d’altura per il recupero dei 52 superstiti, tutti somali in fin di vita, disidratati, incapaci di sostenersi in piedi, a cominciare da cinque donne e da un ragazzino di 15 anni, la faccia di un bambino. Eccoli arrivare in due tornate sul molo Favarolo di Lampedusa dove toccano terra avvolti in termocoperte giallo sgargiante, come le stagnole di grandi uova pasquali. È il colore della gioia lentamente visibile nei volti di questi somali dopo che si sono allontanati dai sacchi neri in cui finiscono i loro cinque compagni avviati verso la camera mortuaria di un minuto cimitero dove c’è spazio solo per due cadaveri.
Conteggi amari che Lampedusa rinnova ancora una volta, mentre altri elicotteri trasferiscono a Palermo una donna incinta e quattro uomini con serie ustioni da raggi solari. Al poliambulatorio è un inferno. Arrivano a decine nella notte. Perché, oltre al gommone soccorso in acque libiche, Guardia costiera e Marina militare hanno salvato 221 immigrati trovati su un gommone a 60 miglia da Lampedusa e su una barca a 90 miglia dall’isola, mentre l’elicottero Ab212 della Bettica continuava fino a tarda sera le ricerche di un’altra imbarcazione, dopo una telefonata satellitare e l’allarme rilanciato anche da Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. «Dobbiamo attenderci un nuovo significativo arrivo di persone», dice Boldrini. «Dobbiamo essere pronti», aggiunge.
Ma oltre ai naufraghi da cercare, nel Mediterraneo s’affaccia l’inedito spettro di un assalto in stile piratesco. Un peschereccio che si trovava in acque territoriali tunisine sarebbe stato bloccato da un gruppo di 70 «africans», come in Tunisia chiamano quanti arrivano dall’Africa sub-sahariana. Stando a Radio Shems, una radio privata un tempo presieduta dalla figlia di Ben Alì, i clandestini a bordo di alcune piccole imbarcazioni avrebbero assaltato il natante, come ha raccontato con un affannato messaggio alle autorità marittime il comandante di cui non si sa più nulla. Dopo un inverno tempestoso, i primi giorni di sole sembrano segnare la fine di una tregua che aveva fatto ben sperare gli operatori turistici. Un’isola adesso scaraventata davanti alla nuova emergenza anticipata dai servizi segreti con la nota su «reti di trafficanti già attive in territorio libico». Relazione subito seguita nei primi giorni di marzo da un viaggio lampo del ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, atterrata qui con il ministro alla Cooperazione, Andrea Riccardi, per controllare lo stato del Centro accoglienza di contrada Imbriacola e della Loran, la vecchia base americana riadattata negli ultimi tempi per donne e bambini.
Le pareti ancora annerite, resta fuori uso il Centro, dopo l’incendio dello scorso anno provocato da una rivolta. E alla Loran è tutto smantellato perché dovrebbero cominciare dei lavori di ristrutturazione. Impossibile quindi usare le due strutture. Come si è capito ieri sera quando si aprivano in fretta e furia i residence di Cala Creta e un paio di alberghi, sotto gli occhi di lampedusani in piena campagna elettorale per scegliere il nuovo sindaco, tutti guardinghi per evitare il disastro del 2011 quando arrivarono 50 mila migranti, oltre mille dei quali morti per naufragio. Funesti conteggi preceduti e seguiti da mancate promesse su sgravi, incentivi e campi da golf mai realizzati.
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