Torino, agguato al capogruppo Udc sei spari nel cortile di casa: è in coma

by Editore | 22 Marzo 2012 7:34

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TORINO – La telecamera dell’Archivio di Stato riprende l’uomo che sta camminando con passo deciso in via Barbaroux di spalle: indossa un soprabito nero, in testa porta un casco bianco con dei disegni scuri. Il display registra l’ora, sono le 8.02. Pochi minuti dopo quell’uomo misterioso scaricherà  un revolver calibro 38 contro Alberto Musy, 44 anni, professore di diritto, avvocato e capogruppo del Terzo Polo al consiglio comunale di Torino. Musy, colpito alla spalle, ad un braccio e forse di striscio sulla testa, è ora ricoverato alle Molinette in prognosi riservata. I medici hanno estratto un proiettile dalla sua spalla destra, rilevato due fori di pallottola nel braccio e un grosso ematoma al capo che li ha costretti ad un intervento d’urgenza per tentare di ridurlo.

Non sono riusciti a toglierli un secondo proiettile, conficcato nella scapola sinistra.

Sul selciato del cortile di via Barbaroux 35, nel centro storico di Torino, larghe chiazze di sangue ricostruiscono la trama dell’agguato. Musy abita al quarto piano con la moglie Angelica D’Avaure, le quattro figlie (la più grande di 13 anni l’ultima nata nel 2010), e due domestiche filippine, madre e figlia. È tutto tranne che un bersaglio.

Figlio di un noto giuslavorista, si è laureato a Torino e poi a Berkley, ha insegnato alla Bocconi e a New York. Ora è professore di diritto comparato all’Università  del Piemonte Orientale e con la sorella titolare di uno studio legale specializzato in questioni societarie. In politica è entrato da poco. Candidato sindaco per Torino per il Terzo polo nel 2011, si definisce «liberale da sempre» e ha scritto una biografia di Valerio Zanone. Alle elezioni si aspettava il 15 per cento, si è fermato al 4,5. Ieri mattina, come sempre ha accompagnato le figlie più grandi alla media Meucci e la terz’ultima all’asilo con la sua Megane.

La più piccola è rimasta al quarto piano con la mamma e le due domestiche filippine. Musy, dopo aver lasciato la terza figlia, torna a casa. È un rientro non previsto. La moglie più tardi dirà : «Aveva dimenticato l’Ipad e doveva lasciarmi un mazzo di chiavi». Nel cortile però c’è l’uomo con il volto nascosto dal casco.

Ha suonato poco prima all’inquilino del terzo piano dicendo: «Devo consegnare un pacco» e l’altro lo ha fatto entrare. Musy incontra quell’uomo nell’androne. «Cerca qualcuno?» pare gli abbia chiesto. La risposta dello sconosciuto è una pistola puntata. E i primi due colpi, sparati di fretta senza mirare.

Gli uomini della Squadra mobile troveranno i fori di due proiettili nel soffitto dell’androne e le ogive deformate sull’acciottolato. Musy cerca rifugio imboccando le scale.È sui primi gradini quando il terzo colpo sparato dal sicario lo colpisce al braccio. Il professore scavalca il basso muretto accanto all’ascensore e scappa nel cortile.

L’uomo con il casco lo insegue e spara ancora, questa volta lo colpisce alle spalle. Poi si volta ed esce dal portone.

I testimoni racconteranno di averlo visto allontanarsi dalla parte opposta a quella da dove era arrivato. Si porta via anche il pacco misterioso che aveva detto di aver consegnato. Gli investigatori ipotizzano che lì dentro possa aver nascosto la pistola. «Ho sentito gli spari mi sono affacciata – racconterà  più tardi Flordeliza Mamaradli, la domestica filippina – ho visto il professore che si teneva la testae invocava aiuto, gridava di chiamare un’ambulanza…». Un inquilino scende di corsa in cortile, gli stringe una cravatta intorno al braccio per bloccare il flusso di sangue. «È stato un uomo sui quarant’anni» sussurra Alberto Musy. E la moglie Angelica, interrogata sino a sera in questura, aggiungerà : «Quando gli sono stata accanto mi ha detto che era stato seguito». Gli investigatori pensano che si riferisse alla fuga nel cortile e cominciano a lambiccarsi il cervello per individuare un movente che spieghi quello strano agguato.

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