Tolosa, il killer ucciso nel blitz colpito alla testa mentre sparava

by Editore | 23 Marzo 2012 8:28

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TOLOSA – Cinque minuti di fuoco che sembrano un’eternità , cinque minuti durante i quali il quartiere della Cà´te Pavée trattiene il respiro. Si sentono diverse esplosioni, sventagliate di mitra, detonazioni a raffica. Si sente, ma non si vede niente, ci si chiede cosa stia succedendo nel piccolo appartamento in cui è asserragliato Moahamed Merah. Deciso a morire con le armi in mano, il giovane francese di origini algerine resiste alle forze speciali del Raid prima di essere ucciso da una pallottola alla testa. Hanno cercato di prenderlo vivo, senza riuscirci. Dopo 32 ore di un assedio sfibrante, l’assalto è stato dato alle 11,27 di ieri mattina, ultimo atto della tragica sequenza tolosana. La fine di un incubo generato dal fanatismo di un ragazzo di 23 anni che ha filmato i suoi agguati, l’uccisione di tre militari e l’attacco alla scuola ebraica Ozar Hatorah. 
Poco dopo la morte del ragazzo, Nicolas Sarkozy ha salutato il coraggio dei poliziotti e annunciato nuove misure penali contro l’apologia dell’estremismo terrorista. E in serata, in un comizio, ha alzato la voce: «Merah non era un pazzo. Era un mostro fanatico. Cercare una spiegazione ai suoi gesti, lasciar intravedere la minima comprensione sarebbe una colpa morale». Parole che confermano l’irruzione della tragedia di Tolosa nella campagna elettorale.
Nel paese, tuttavia, il dibattito politico è relegato in secondo piano. La grande angoscia dell’assedio a Merah è stato seguito con apprensione. Mercoledì sera il giovane aveva annunciato ai poliziotti di non volersi arrendere. Dopo una giornata di trattative ha cambiato idea e parla della morte: «Se tocca a me, pazienza, andrò in paradiso. Se tocca a voi, peggio per voi». Poi il silenzio per tutta la notte. Ieri mattina, il ministro dell’Interno, Claude Guéant, si era interrogato su un eventuale suicidio. Poi è andato sul posto, si è consultato con i vertici della polizia e ha dato l’ordine dell’assalto.
Alle 11,27, gli uomini del raid hanno fatto scoppiare alcune granate per aprirsi la strada. Quindici di loro sono entrati nell’appartamento, un piccolo tre vani al pian terreno, leggermente rialzato rispetto al livello della strada. Con le loro telecamere hanno ispezionato le stanze, senza vedere nessuno fino a quando una telecamera è stata introdotta in bagno. Merah è lì ad attenderli. Esce armato con tre colt 45, la sua arma preferita, la stessa con cui ha massacrato le sue vittime. Porta una djellaba nera, un jeans e un giubbotto antiproiettile. Nell’alloggio si scatena l’inferno. Le forze speciali utilizzano armi non letali: «Avevo dato ordine di rispondere solo con granate suscettibili di metterlo in stato di choc», racconta il capo del Raid. Ma il ragazzo è deciso al tutto per tutto, spara all’impazzata. In un raggio di 2-300 metri risuonano le armi automatiche: 300 colpi sparati dai poliziotti, 30 dal forsennato. Gli agenti speciali si proteggono, Merah tenta di colpirli. Poi, come un animale in gabbia, prova la fuga attraverso un terrazzino continuando a sparare: uno dei poliziotti all’esterno del condominio lo ferisce mortalmente alla testa.
Sono le 11,32, il silenzio s’impadronisce della zona. Pochi minuti dopo, arriva la notizia della morte di Merah. Un solo poliziotto è stato leggermente ferito, altri due sono in stato di choc. Un poliziotto racconta quel che gli hanno raccontato gli agenti del Raid: «Sembrava di essere in un videogame».
Le telecamere inquadrano la sessantina di uomini del Raid che lasciano il luogo dell’assalto, passamontagna e muta neri. Il loro capo, Amaury de Hautecloque, parla di uno scontro violentissimo: «Merah aveva una determinazione inflessibile. Ci ha aspettati nella posizione del combattente. E’ la prima volta in vita mia che ho visto qualcuno venire all’assalto contro di noi mentre noi stessi lanciamo l’assalto». Aveva i piedi in 30 centimetri d’acqua, poiché durante il primo assalto una granata aveva colpito una colonna d’acqua. In casa sono state trovate armi e munizioni.
Tutto lascia pensare che Merah abbia agito da solo. Dopo la sua morte è arrivata una rivendicazione proveniente dalla galassia di Al Qaeda nel Maghreb, cui gli esperti non danno molto peso. Gli inquirenti, tuttavia, vogliono sapere se Merah è stato aiutato.
Malgrado fosse disoccupato, aveva i mezzi per procurarsi molte armi e noleggiare due auto: durante i colloqui con i poliziotti, ha detto di aver comprato le armi con i soldi ricavati coi suoi furti. Il ruolo del fratello, un estremista legato al salafismo e in stato di fermo, dev’essere chiarito. Resta tuttavia il fanatismo del ragazzo. Il procuratore capo di Parigi, che guida l’inchiesta, ha confermato che Merah ha filmato i suoi agguati: «Li abbiamo visionati mercoledì. Durante il primo assassinio, si riferisce alla guerra in Afghanistan e dice al militare: “Hai ucciso i miei fratelli e io ti uccido”. Dopo aver attaccato tre parà  a Montauban grida Allah Akbar». Il giovane aveva detto di averli messi su internet, ma finora gli investigatori non ne hanno trovato traccia sulla rete. Quando cala la sera, Tolosa respira di nuovo: ferita dalla lunga sequenza omicida, la città  tenta di ritrovare almeno un sembiante di normalità .

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