Tokio spegne le centrali a un anno da Fukushima

by Editore | 27 Marzo 2012 7:48

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PECHINO — Lo tsunami dell’11 marzo 2011 non è finito. Il nucleare del Giappone, che fino al giorno del sisma garantiva il 30% del suo fabbisogno energetico, sta perdendo i pezzi. E, per ora, non sembra in grado di prevedere i tempi in cui potrà  invertire la tendenza. Da ieri in tutto l’arcipelago è rimasto funzionante soltanto un reattore, sull’isola di Hokkaido, la più settentrionale. La famigerata Tepco l’azienda energetica che gestisce gli impianti di Fukushima Daiichi devastati dal terremoto e dal maremoto, ha chiuso il reattore numero 6 di Kashiwazaki-Kariwa. È manutenzione ordinaria, secondo una prassi che prevede il fermo delle centrali ogni 13 mesi per controlli e stress test. Ma dal disastro di Fukushima nessuna delle strutture spente è stata ancora riattivata. La centrale in Hokkaido andrà  avanti ancora fino a maggio, poi basta. A quel punto, nessuno dei 54 reattori della terza potenza economica mondiale produrrà  nulla, a un passo dall’estate.
Il cessato funzionamento di Kashiwazaki-Kariwa, con l’incertezza su quando i reattori potranno riprendere a funzionare, arriva mentre il parlamento e i potentati industriali discutono della nuova autorità  di sorveglianza che dovrebbe insediarsi domenica 1° aprile. Mancano ancora molti tasselli e il Partito democratico, di cui è espressione il primo ministro Yoshihiko Noda, non ha la forza di imporsi su un’opposizione combattiva. L’Agenzia di regolamentazione del nucleare prenderà  il posto dell’Agenzia per la Sicurezza industriale e nucleare e dovrebbe prevedere poco meno di 500 dipendenti e un budget annuale di circa mezzo miliardo di euro. Ma si litiga, nonostante l’Aiea (l’organismo internazionale dell’energia atomica) abbia raccomandato in più occasioni che l’ente di supervisione va tenuto al riparo dalle indebite pressioni del governo e dalle lobby. Gli antinuclearisti non si fanno troppe illusioni. «Sono pochi, in tutti gli schieramenti, i politici contrari all’atomo. L’industria del nucleare è troppo diffusa, troppo ramificata. Non se ne esce…», diceva al Corriere nei giorni dell’anniversario dello tsunami Kazumasa Aoki, ingegnere al servizio del comitato civico Fukuro-no-Kai.
È una consapevolezza non nuova, ma che a meno di una settimana dalla nascita della nuova Agenzia riprende slancio. Uno dei tratti qualificanti della riforma sta nel sottrarre la supervisione dei reattori alle competenze del ministero dell’Economia, Commercio e Industria per trasferirla al ministero dell’Ambiente. Se i conflitti di interesse nell’intreccio di legami professionali, umani, economici, di affiliazione politica adesso abbondano, non c’è unanimità  su come far sì che sia garantita l’indipendenza assoluta dei neanche 500 membri dell’agenzia.
Il primo ministro che aveva dovuto gestire lo tsunami e la catastrofe di Fukushima, Naoto Kan, prima di passare la mano a Noda era riuscito a fare approvare a fine agosto una legge per il potenziamento delle energie rinnovabili. Una sorta di testamento politico. «L’iniziativa di Kan non avrà  effetti reali se non a lungo termine», spiegava alCorriere Masayuki Morikawa, vicepresidente del Rieti, l’Istituto di Ricerca sull’Economia, il Commercio e l’Industria (governativo). L’anno scorso, in estate, le fabbriche avevano introdotto turni notturni e nel fine settimana per tagliare i consumi del 15%, come prescritto dall’esecutivo. «La mia opinione personale — aggiungeva Morikawa — è che non ci sia alternativa al nucleare. Ci dovremo tornare, studiando bene la collocazione degli impianti nel territorio. E comunque, per ora, lo stop delle centrali nucleari non è pesato davvero sull’economia», aggiungeva tre settimane fa. Nell’immediato futuro, si pensa come evitare al Giappone un ulteriore colpo a un’economia già  malata prima dell’11 marzo 2011. Le preoccupazioni valgono per tutti. Quelle di certe aziende, però, hanno già  una soluzione pronta che sa di minaccia: spostare la produzione all’estero.

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