Terremoto sull’impero Murdoch lascia James, l’erede dello Squalo

by Editore | 1 Marzo 2012 8:58

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londra – L’epitaffio per le dimissioni sembra già  scritto: «Il mio regno per un cavallo». Chissà  se i tabloid di sua proprietà , così bravi a sintetizzare anche la più complicata vicenda con un titolo ad effetto, avranno il coraggio di parafrasare Shakespeare per lo scandalo che li riguarda. James Murdoch, 38enne presidente di News International, la società  che controlla i giornali (a cominciare dal Sun e dal Times) e le reti tivù (come Sky) in Europa di uno degli imperi editoriali più grandi del mondo, ha rassegnato ieri le dimissioni, ultima vittima del Tabloidgate, lo scandalo a base di intercettazioni illecite e poliziotti corrotti che da sette mesi tormenta il suo gruppo. Dopo l’arresto dei suoi giornalisti, dei suoi direttori e del suo amministratore delegato, ora dunque cade anche lui, figlio del padrone e fino a non molto tempo fa erede designato. E non è escluso che prima o poi scattino pure per James le manette.
Aveva resistito a rivelazioni di ogni genere, Murdoch junior: le intercettazioni dei telefonini di membri della famiglia reale, leader politici, Vip del cinema e della musica, familiari di vittime di crimini, tutti spiati per trovare scoop da sbattere in prima pagina; i pagamenti di centinaia di migliaia di sterline a poliziotti e altri pubblici ufficiali, per corromperli e ottenere anche da loro rivelazioni piccanti per i suoi giornali; le email che dimostravano che anche James era a conoscenza di questa colossale macchina dell’illecito, sebbene lui negasse di averle lette con la poca credibile scusa che aveva “fretta” e non ebbe tempo di arrivare fino in fondo; le ricompense di centinaia di migliaia o milioni di sterline alle vittime delle intercettazioni, per evitare ancora più imbarazzanti processi giudiziari. Forse è solo una coincidenza, ma paradossalmente James ha capito che doveva andarsene solo 24 ore dopo che è venuto alla luce un peccato veniale: Rebekah Brooks, all’epoca amministratrice delegata di News International, grande appassionata di equitazione (il marito è un fantino), ricevette “in prestito” gratuito per anni un cavallo da Scotland Yard, uno dei destrieri su cui montano i poliziotti alle manifestazioni di protesta. Un segno piccolo, ma illuminante, di quanto fosse diventato stretto e viziato il legame tra la Metropolitan Police di Londra e la potente catena di giornali. 
Da quel cavallo sono cascati in due: Rebekah e James. I due prediletti dell’84enne fondatore e patriarca dell’impero, Rupert Murdoch, che considerava lei una figlia adottiva e lui l’erede a cui lasciare tutto. Ora – si commenta a Londra – Murdoch senior dovrà  rifare i suoi piani. Rebekha è stata lasciata a difendersi in tribunale. James viene mandato in “purgatorio”: si occuperà  dello sviluppo di iniziative televisive a livello internazionale, un bel titolo per addolcire la pillola. E la previsione è che l’erede del gruppo Murdoch non si chiamerà  più Murdoch, bensì sarà  un manager non imparentato con la famiglia. Ma non è finita. James rischia di essere incriminato per falsa testimonianza. I giornali del gruppo potrebbero essere venduti o separati dalle tivù attraverso la creazione di una nuova società . Gli Stati Uniti potrebbero aprire un’inchiesta a loro volta su giornali (Wall Street Journal, New York Post) e tv (Fox News) di Rupert Murdoch negli Usa. Qualcuno parla di fine del suo impero. Di certo non avrà  più il potere di influenzare leader politici, da Downing Street alla Casa Bianca, che aveva fino al recente passato: come quando Tony Blair faceva da padrino ai suoi figli e un suo ex-direttore (Andy Coulson) diventava il portavoce del primo ministro David Cameron. 
«Ringrazio tutti i miei collaboratori», dice James. «Ringrazio James per il tutto lavoro che ha fatto», gli fa eco Rupert. Ma c’è poco da ringraziare: appena tre giorni dopo il lancio di un nuovo giornale, il Sun Sunday, pubblicato per rimpiazzare il News of the World travolto dallo scandalo e chiuso brutalmente l’estate scorsa, il grande tycoon ultraconservatore della carta stampata e del video barcolla come non gli era mai successo. Il vecchio Rupert ha evitato per un pelo una torta in faccia, quando venne a testimoniare in autunno davanti alla commissione parlamentare a Londra: come nei film comici. Ma questa ormai è una tragedia shakesperiana, in cui il protagonista, come nel “Riccardo III”, può perdere il regno per un cavallo.

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