Sull’avventura di «Azimuth» l’impronta di Piero Manzoni

by Editore | 16 Marzo 2012 8:12

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È con la metafora del volo che Piero Manzoni definisce l’esigenza di una trasformazione integrale della visione creativa che si va definendo tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60. Un volo oltre i confini stabiliti dell’artisticità , verso nuovi orizzonti in grado di rispondere alle mutate prospettive della contemporaneità . La frase appartiene al suo testo Libera dimensione, pubblicato sul secondo e ultimo numero della rivista «Azimuth», da lui fondata a Milano insieme a Enrico Castellani nel settembre 1959, e seguita in dicembre dall’apertura della galleria Azimut, spazio espositivo autogestito nel quale i due artisti organizzano mostre della più avanzata avanguardia internazionale. «Azimuth» (la rivista) e Azimut (la galleria) sono l’epicentro di un terremoto creativo che assimila, metabolizza e innova, nell’arco di una stagione brevissima, una serie di sollecitazioni: dal settembre del 1959 (con la pubblicazione del primo numero della rivista) al luglio del 1960 (con l’ultima mostra della galleria).
«Azimuth» non è un gruppo costituito o un movimento con un programma definito a priori, ma un grande catalizzatore internazionale di esperienze multiformi: affermazione di una linea estrema di avanguardia, che coniuga in sé diverse potenzialità  dell’arte nuova, dall’azzeramento radicale dell’immagine allo sperimentalismo dei nuovi materiali, dal superamento della superficie pittorica a una nuova idea di spazio siderale, dalle utopie luminose alle radici concettuali. È l’idea di modificare non solo l’opera artistica, ma anche i modi di relazione che la connettono a un mondo in dinamica evoluzione, che vive di rapidità  ed efficacia di comunicazione: ha certo una dimensione di neoavanguardia (la rivista come luogo di esplicitazione teorica e stimolo creativo), ma è anche un nuovo modo di porsi dentro il sistema stesso dell’arte, attraverso l’operazione di una rivista e di una galleria indipendenti e internazionali, tese a costituire una inedita rete di relazioni.
Caratterizzano questa situazione una intensità  e concentrazione di esperienze che continuano a renderne complessa una definizione univoca, così come una contestualizzazione escludente. L’avventura di «Azimuth» è, per Manzoni così come per altri autori che con lui hanno condiviso attivamente questa esperienza, un luogo fisico e ideale di confronto, in cui si definiscono le coordinate teoriche e operative di una nuova visione artistica. Spartiacque e incubatrice, situazione emblematica di una intera generazione: una realtà  nella quale l’esperienza del dialogo transnazionale è resa autenticamente e continuativamente possibile, per la prima volta in modo così intenso, permettendo l’intreccio in tempo reale di sollecitazioni differenti.
Il luogo in cui tutto questo accade è la Milano che si affaccia agli anni Sessanta, con i profondi rivolgimenti determinati dal «miracolo economico», al suo apice proprio tra 1958 e 1963: modernizzazione, industrializzazione, sviluppo tecnologico e trasformazione politica, sociale, culturale legati al ruolo economicamente egemone che la città  riveste nel contesto nazionale, quale spazio propulsore di lavoro, industria, capitali, commerci, crescita urbanistica e demografica. 
A Milano vi è poi una presenza fondante e imprescindibile alla genesi stessa dell’esigenza di rifondazione espressa da questi protagonisti: quella di Lucio Fontana (significativamente, l’unico artista cui viene dedicato nei due numeri di «Azimuth» un testo monografico). Fontana è il grande maestro riconosciuto da tutta questa generazione europea, cui impartisce una insostituibile «lezione di attitudine alla vita, la volontà , la forza di fare dell’arte, la libertà  d’invenzione»: è l’eredità  vivente, senza soluzione di continuità , di una visione positiva del Futurismo, che dal Manifiesto Blanco del 1946 alle teorie dello Spazialismo elaborate a partire dal 1947 (anno del suo ritorno in Italia dall’Argentina) ripropone nel corso degli anni Cinquanta i temi del progresso attivo permanente, dell’esplorazione cosmica, di una spazialità  mentale senza confini fisici e ideali. 
Nel suo ruolo propulsivo e ispiratore per la nuova generazione europea che in questi anni riconosce in lui l’antesignano di una creatività  che si determina come pratica spaziale allargata, consona alle nuove dimensioni di un’azione umana estesa e della scoperta del cosmo, Fontana è sensibile alle sollecitazioni che gli arrivano degli artisti più giovani, quale manifestazione di una ineludibile esigenza di rinnovamento, come testimonia il continuo modificarsi del suo linguaggio. 
In questo contesto, «Azimuth» è nodo fondante di un network transnazionale particolarmente decisivo per la nascita di una nuova visione artistica europea: una situazione che tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta assiste alla maturazione di un generalizzato superamento dello spazio espressivo del soggetto, legato alla stagione informale del secondo dopoguerra, per lasciare invece luogo a una nuova e libera relazione con lo spazio del mondo, e da questo con la dimensionalità  espansiva dell’intero universo. È un momento germinale, che vede nella riduzione espressiva e nell’azzeramento formale una possibilità  decisiva di rifondazione costruttiva del linguaggio visivo, una volta superata la disillusione, storica e culturale, che aveva seguito gli esiti della seconda guerra mondiale. 
È la dimensione del viaggio e dello scambio (tra luoghi, protagonisti, vicende) che connota questo momento così decisivo: proprio l’attivismo vitalistico di Manzoni, con la sua curiosità  feconda, i ripetuti viaggi e soggiorni attraverso l’Europa, l’inesausta corrispondenza epistolare, il suo instancabile intessere relazioni e scambi, la sua attività  di promozione, si rivela cruciale alla definizione di questa inedita geografia dell’arte, che include recenti espressioni del panorama americano, sollecitazioni della cultura orientale e soprattutto nuovi centri artistici europei, come Svizzera, Inghilterra, Germania e Nord Europa, che subentrano gradualmente alla relazione privilegiata con l’ambito francese. Non è un caso che il nome stesso di questa realtà  si leghi al lessico geografico e astronomico: come ricorda Castellani, l’azimuth «è la verticale sopra un punto qualsiasi della superficie terrestre». Azimuth indica così al contempo direzione e punto di osservazione: è luogo e genesi di orientamento, fulcro di prospettiva cosmica, proiezione dimensionale e misura possibile nello spazio illimitato dell’universo.
«Azimuth» è anche per Manzoni un anello cruciale, che segna la costituzione di un fronte europeo di nuova generazione, in grado di rompere le coordinate non solo espressive ma anche relazionali di un sistema che egli percepisce come inadeguato a recepire i significati della creatività  più avanzata. 
A queste date, la sua ricerca ha già  codificato negli Achrome l’idea di una tabula rasa radicale: i suoi primi esempi di quadri integralmente bianchi datano alla fine del 1957, e vengono esposti per la prima volta nel gennaio 1958. Dopo alcuni esperimenti realizzati stendendo del gesso su tavole e tele, Manzoni sceglie di utilizzare come materiale privilegiato il caolino, liquido ceramico nel quale immerge le proprie superfici, che vengono poi montate sul telaio e nell’asciugarsi assumono le grinzature caratteristiche dei lavori tra il 1958 e il 1959. 
Questa soluzione creativa, che con neologismo terminologico Manzoni codifica nel 1959 in Achrome, non è una pura esperienza di azzeramento cromatico, ma una ipotesi di appropriazione concreta del mondo in chiave neutralizzante, tesa a sottrarlo proprio alla sua dimensione transeunte di caducità  materiale per tradurlo in una visione totalizzante. Si tratta di una scelta che intende definire e chiarire, anche teoricamente, la visione di concretezza che si va precisando nel suo lavoro: è del maggio 1959 la prima occasione in cui è attestata la titolazione Superficie Acroma, sull’invito di una sua mostra personale. 
L’opera «achrome» – che letteralmente significa «incolore» – si esplicita così per Manzoni nei più diversi formati e materiali, accomunati dal desiderio di neutralizzare qualsiasi residuo descrittivamente rappresentativo e soggettivamente autoriale dall’operazione artistica, che deve limitarsi a prelevare frammenti di realtà  per sottrarli al proprio destino di caducità  e trasporli così in una dimensione fisicamente infinita.
Il 19 marzo (ore 18) presso il museo del Novecento di Milano, la Fondazione Piero Manzoni presenterà  il volume «Manzoni. Azimut» dedicato all’artista italiano (la cui mostra si è tenuta da Gagosian a Londra) e a coloro che hanno condiviso l’esperienza della rivista Azimuth e della galleria Azimut (che ospitò nell’arco di otto mesi tredici mostre su quel terremoto creativo che scosse il mondo dell’arte). Il volume è curato dalla storica e critica Francesca Pola, di cui pubblichiamo qui alcuni stralci del testo.

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