by Editore | 9 Marzo 2012 7:41
Sempre più lunghe le liste d’attesa per i trapianti. Sempre più anziani i pazienti. E sempre più insufficienti gli organi donati. «Il futuro è altrove. I primi organi cresciuti in laboratorio sono già stati trapiantati in alcuni pazienti in via sperimentale. Non mancano le difficoltà . Ma questa tecnica rappresenta l’alternativa all’insufficienza sempre crescente dei donatori» scrive Paolo Macchiarini in un articolo sulla rivista The Lancet.
Macchiarini è un medico italiano che oggi lavora in quel Karolinska Institutet di Stoccolma che assegna i Nobel. A lui si devono i primi trapianti di trachea al mondo con organi ricostruiti usando le cellule staminali. «Si parte da una struttura tridimensionale che funge da sostegno. Su questa matrice vengono fatte crescere le staminali, che a poco a poco ripopolano la struttura e ricostituiscono l’organo intero. Qualcuno li chiama organi artificiali, in realtà quello che mettiamo in atto è un meccanismo completamente naturale».
Il segreto degli organi cresciuti in laboratorio sta nelle cellule staminali, croce e delizia della medicina moderna. La loro funzione è moltiplicarsi per riparare e rigenerare tessuti danneggiati. Con sostanze nutritive e fattori chimici accuratamente calibrati, gli scienziati stanno imparando a indirizzare queste cellule in modo che formino un tessuto piuttosto che un altro. Ma la precisione con cui questo avviene non è ancora affidabile al cento per cento. «Uno degli aspetti più difficili dell’ingegneria biologica resta l’identificazione delle cellule staminali più adatte e la scelta del metodo per farle ricrescere» spiega il chirurgo di origine toscana.
Far ricrescere un organo in laboratorio richiede settimane o mesi. La trachea e la vescica sono già state trapiantate in una decina di pazienti ciascuno, e nella maggior parte dei casi hanno risolto la malattia senza bisogno di sopprimere il sistema immunitario. Se le staminali vengono prelevate dallo stesso paziente da trapiantare, infatti, non c’è motivo per cui avvenga il rigetto. «Ma i nostri studi stanno andando avanti. Il gruppo di Doris Taylor negli ha fatto battere un cuore e respirare un polmone in laboratorio» spiega ancora Macchiarini.
Il cuore che oggi batte in provetta collegato a un cavo elettrico era stato un giorno un normale cuore di topo. I chirurghi dell’università del Minnesota lo hanno prelevato e ripulito da tutte le cellule che gli davano forma e funzione, fino a lasciare la mera struttura di collagene che del cuore rappresenta l’impalcatura. Da questa matrice priva di ogni caratteristica della vita si è ripartiti per la ricostruzione, avvenuta in un contenitore sigillato, sterile e dove vengono continuamente infusi i fattori di crescita: il bioreattore. «Cuore e polmone sono esempi di organi complessi, ma è ancora presto per parlare di trapianti sull’uomo. Così come per fegato e rene. Esofago e muscolo sono in uno stadio più avanzato» prosegue Macchiarini. Per saltare la prima fase di “ripulitura” dalle cellule originarie, si sta cercando di realizzare matrici sintetiche. E le tecniche di chirurgia hanno ancora bisogno di fare progressi. «Ma esiste una soluzione ancora meno aggressiva cui puntare per il futuro» spiega Macchiarini. «Perché usare un bioreattore quando possiamo far rigenerare l’organo malato direttamente nel corpo, infondendo le staminali nel punto in cui l’organo ha bisogno di essere riparato».
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