Spagna Nostalgia dei mille euro

by Sergio Segio | 13 Marzo 2012 18:46

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Nell’agosto del 2005 una giovane catalana scrisse una lettera a questo giornale. Si intitolava “Io sono una milleurista”, una definizione da lei coniata. Carolina Alguacil aveva 27 anni e si rammaricava della precarietà  lavorativa della sua generazione.

“Il milleurista è un giovane tra i 25 e i 34 anni, laureato, istruito, poliglotta e con un curriculum ricco di corsi di formazione e master. Ormai da 3-4 anni è inserito nel mercato del lavoro. Se è fortunato, ha ricevuto uno stipendio regolare per due anni. Non guadagna più di mille euro, non gli spetta alcun sussidio e gli conviene non lamentarsi. Non è in grado di risparmiare. Non ha una casa né una macchina. Non ha figli e vive alla giornata. All’inizio può essere divertente, ma alla lunga stanca”.

Rileggendo la lettera anni dopo resta l’amaro in bocca, perché è evidente che le cose sono peggiorate. Il milleurismo ha lasciato il passo a una versione ancora più precaria, e oggi si fa strada la generazione del “nemmeno mille euro”. “Eravamo milleuristi e volevamo di più. Oggi l’aspirazione è guadagnare mille euro”, riassume Carolina Alguacil, laureata in Comunicazione audiovisuale e trasferitasi a Cordoba, dove lavora come freelance. Carolina non fa più parte dei milleuristi, ma è ancora convinta di essere sottopagata. “Non mi rassegno”.

Nel 2005 il tasso di disoccupazione giovanile in Spagna era al 20 per cento. Oggi ha raggiunto il 50 per cento, e da tempo ha doppiato la media europea (22,4 per cento). La generazione più preparata ha le peggiori prospettive dalla fine del franchismo, e si sente vittima degli eccessi altrui. Finora molti giovani hanno tirato avanti grazie al sostegno dei genitori, ma qualcuno comincia a perdere anche quello.

“Tutti gli indicatori sono peggiorati, nessuno escluso”, spiega il sociologo Esteban Sà¡nchez, esperto di precarietà  giovanile. “Disoccupazione alle stelle, lavoro sempre più precario e salari bassi. La situazione è tragica. Non esiste un solo dato che lasci intravedere qualche prospettiva incoraggiante”. “La sensazione diffusa è che non c’è futuro”, riassume Guillermo Jiménez, studente di 21 anni di diritto e politica ed esponente dell’associazione universitaria Juventud sin Futuro.

In Spagna vivono 10.423.798 persone di età  compresa tra i 18 e i 34 anni. Il loro reddito medio (includendo i disoccupati) è di 824 euro al mese. Quelli che hanno un lavoro guadagnano in media 1.318 euro al mese (dati del Consejo de la Juventud de Espaà±a). Professioni che un tempo sembravano al riparo dal milleurismo ormai non lo sono più. Il Politecnico di Valencia ha seguito i primi passi nel mondo del lavoro degli ingegneri e architetti laureatisi nel 2008. Uno su quattro non arriva a guadagnare mille euro, e la cosa peggiore è che il numero complessivo dei “non-milleuristi” è aumentato dell’8 per cento rispetto ai laureati del 2007.

Amanda, valanciana di 29 anni che non vuole rivelare il suo cognome, è uno dei volti di questa statistica. Guadagna a mala pena mille euro al mese e lavora dalle 10 di mattina alle 9.30 di sera, “con una pausa pranzo di mezzora”. “È una situazione surreale. Quando esco di casa il supermercato non è ancora aperto, e quando torno è già  chiuso. Lavoro come un dirigente ma guadagno come un apprendista”.

Nell’animo di Amanda convivono in estrema armonia due sensazioni opposte: si sente contemporaneamente sfruttata e privilegiata. Prima di trovare lavoro come commessa si sentiva “un’eterna stagista”. “Avevo ottenuto sei stage. Il primo non era pagato, mi davano soltanto i buoni pasto. L’ultimo, in un’ente pubblico, è stato quello in cui mi hanno pagata di più: 600 euro al mese”.

Secondo le cifre di Josep Oliver, professore di economia applicata dell’Università  autonoma di Barcellona, il 45 per cento dei disoccupati con meno di 34 anni non ha un lavoro da più di un anno. Molti di coloro che erano diventati autonomi sono stati costretti a tornare a vivere con i genitori (nel 2011 il tasso di emancipazione familiare è calato del 4,2 per cento).

C’è anche chi non è riuscito ad andarsene di casa, come Beatriz Arrabal, 32 anni. Da 550 giorni non ha un lavoro, ma non perde le speranze. Laureata in amministrazione pubblica, si è pagata gli studi lavorando in un call center per 1.110 euro al mese, uno stipendio che oggi le appare irraggiungibile. La maggioranza dei lavori che ha fatto dal giorno della laurea non aveva niente a che fare con i suoi studi.

Neanche il ragazzo di Beatriz ha un lavoro stabile. La coppia ha pensato di lasciare la Spagna, ma Beatriz deve gestire una difficile situazione familiare: suo padre è malato, ed entrambi vivono con la pensione di lui. Lo scorso 10 novembre Beatriz ha aperto su Facebook il gruppo Lavoro sociale, come trovare il nostro spazio. “Ho deciso di creare questo gruppo per aiutare me stessa e gli altri come me a migliorare la nostra condizione lavorativa, e aiutarci a vicenda grazie alle esperienze di tutti”, scrive nella presentazione del gruppo.

La parola “sconforto” non basta a descrivere i sentimenti di quelli che hanno scommesso tutto sul boom edilizio. Lo stallo nel mercato del lavoro li ha colpiti più degli altri, spiega Josep Oliver. La maggior parte dei disoccupati senza un diploma di laurea (tra i minori di 30 anni il tasso di disoccupazione è al 55 per cento) si guadagna da vivere alla bell’e meglio.

A Granada, una giovane coppia di laureati affronta un’altro problema: la sovraqualificazione, che colpisce il 37 per cento dei minori di 30 anni con un titolo di laurea o formazione professionale superiore. Natalia, 25 anni, è logopedista e tecnico di analisi cliniche. Il suo ragazzo Jesàºs, 23 anni, è ingegnere industriale. Entrambi vendono assicurazioni porta a porta. “Per un’assicurazione sulla vita guadagno 200 euro, per altre 120”, racconta Natalia. “Ci sono mesi in cui guadagno 900 euro, altri in cui non vado oltre i 90”. Natalia spera di poter cambiare lavoro al più presto. Le hanno offerto un posto come logopedista in uno studio di psicologia, anche se le hanno detto che dovrà  trovarsi i suoi clienti.

Che colpa abbiamo noi?

Il 75 per cento dei giovani crede che vivrà  peggio dei genitori, e il 70 per cento degli adulti pensa lo stesso. Mentre i giovani provano a darsi all’imprenditoria (secondo Eurostat il 54 per cento vorrebbe creare un’azienda propria), il governo fissa le nuove regole del gioco che segneranno il futuro dell’economia e di conseguenza quello dei giovani in difficoltà . In questo momento la proposta più rilevante per le nuove generazioni è quella di una riforma del lavoro in grado di aumentare nel breve periodo l’occupazione tra i giovani, comportando però anche una flessione nei salari.

“La riforma insiste su un approccio già  sperimentato in passato: rendere il lavoro dei giovani più economico rispetto a quello degli altri. È un modo di ammettere l’impotenza”, spiega Santos Ruesga, professore di economia applicata all’Università  autonoma di Madrid.

Davanti a prospettive così limitate, molti cervelli della generazione più preparata continuano a fare le valige. Si tratta di una fuga di talenti “mai vista prima”, ha sottolineato Fà¡tima Bà¡à±ez, ministra del lavoro e della sicurezza sociale. Secondo l’ultimo eurobarometro della Commissione europea il 68 per cento dei giovani spagnoli è disposto a espatriare. Soltanto cinque paesi (su 31 analizzati) hanno registrato una percentuale maggiore: Islanda, Svezia, Bulgaria, Romania e Finlandia.

Rafael Anà­bal, 28 anni, è un giornalista. A novembre è rimasto senza lavoro, e oggi “vive di risparmi”. Da un po’ di tempo ha cominciato a pensare di lasciare la Spagna. Sta valutando il Cile, dove potrebbe aspirare a un salario al livello del migliore che abbia mai avuto in Spagna: 1.100 euro.

A dicembre Anà­bal ha aperto un blog per raccogliere le testimonianze dei giovani espatriati, Pepas y Pepes 3.0. “L’ho fatto per indignazione. Come dice un cubano nel film Habana blues di Benito Zanbrano, ‘ogni giorno in casa mia accolgo un altro cane e altre piante. Appartengono agli amici che vanno via’. È una frase che mi piace, perché racconta una realtà  che vivo personalmente.

Mi faccio sempre le stesse domande: Che c’entro io con la speculazione, lo spread e le agenzie di rating? Perché noi giovani stiamo pagando le conseguenze di una crisi di cui non abbiamo colpe?”

Traduzione di Andrea Sparacino

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