Siria, massacro di civili a Homs donne e bambini torturati e uccisi

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BEIRUT – Ammassati sul pavimento di una stanza, le 47 vittime dell’ultimo orrore siriano sembrano sacchi abbandonati in un deposito di merci. Alcuni indossano ancora i vestiti della morte, altri sono avvolti da coperte. Alcuni portano i segni di un’esecuzione a freddo, altri sono stati orribilmente mutilati. Eppure non sembra esserci traccia di sangue. Sono stati raccolti tra le macerie di Karm az Zaitun e di Al Adawia, due quartieri nella parte centro-orientale della città  di Homs e messi davanti a una telecamera perché quelle immagini, diffuse dall’opposizione attraverso YouTube, risaltino come l’ultima e definitiva prova della ferocia del regime. Il regime, ovviamente, rovescia sul nemico l’accusa di aver messo in piedi una diabolica montatura.
Ora la telecamera indugia su un uomo che grida la sua rabbia, poi torna a sfiorare il mucchio per terra. In un angolo s’indovina una donna col capo avvolto nel fazzoletto islamico. Di traverso, appoggiato al suo busto, viene scoperto il corpo di un bambino. Fra le vittime, 20 sono donne, 25 bambini. Soltanto due, gli adulti maschi. Una strage di innocenti. La camera infine si fissa sulla figura più toccante: una bambina dai capelli neri che indossa un paio di jeans chiari e un piumino fucsia che lancia ancora una vago bagliore.
Di efferatezze se ne erano viste tante durante il tragico e tortuoso cammino della rivolta siriana, che a giorni compirà  un anno. Ma mai come in questo caso s’era assistito a un una strumentalizzazione così spregiudicata della morte a fini propagandistici. Due versioni si contrappongono senza lasciare speranza di venire a capo della verità  e con il rischio di oscurare persino la tragedia.
Una fonte dei Comitati di Coordinamento, come dire?, la base popolare e locale della rivolta, racconta che 30 o 40 carri armati dell’esercito sono arrivati nella notte a Karm az Zaitun e hanno cominciato a bombardare. Quel quartiere non è Baba Amro, non ha la stessa fama d’irriducibile fierezza, ma è comunque un luogo di protesta, di mobilitazione. «Adesso è relativamente tranquillo – dice Walid Fares – ma l’assalto è andato avanti per ore». Poi, secondo questa ricostruzione, sarebbero arrivati gli shabiha, i miliziani fedeli al regime, in gran parte alawiti, la minoranza religiosa eterodossa di derivazione sciita cui appartiene anche la famiglia Assad e buona parte del vertice dell’esercito e dei servizi di sicurezza. «Sono arrivati – accusa Walid Fares – per finire il lavoro delle truppe corazzate». Uccidere, mutilare, terrorizzare per costringere la gente a fuggire anche da Karm az Zaitun, come è dovuta scappare da Baba Amro.
Dunque, saremmo di fronte a un massacro a sfondo settario. Le vittime sono tutti sunniti, un piccolo campione della maggioranza oppressa di questo paese dominato dalla minoranza alawita. I carnefici, gli shabiha, e gli alti gradi dell’esercito che hanno ordinato l’operazione sono alawiti. Insomma ci sono tutti gli ingredienti perché a partire da Homs lo scontro rivolta-repressione, opposizione-regime che va avanti da un anno si trasformi in un’altra cosa, una catastrofica resa dei conti una guerra civile inter religiosa. Chi ha pianificato l’orrore di Homs, l’ha fatto avendo in mente questo terribile scenario futuro.
Ma anche il regime ha una sua maliziosa ricostruzione. L’agenzia ufficiale Sana accusa «gruppi terroristi armati», la formula con cui viene descritta e al tempo stesso liquidata l’opposizione, di aver rapito, ucciso e infierito sulle vittime di Homs. Poi di averle filmate e aver inviato le immagini ai due grandi network panarabi, Al Jazeera e Al Arabiya, allo scopo di addossare la responsabilità  del massacro al vertice siriano. Di rincalzo, la Tv di stato dà  voce ad alcuni non meglio precisati “testimoni” secondo i quali le persone uccise erano scomparse misteriosamente dalle loro case già  un mese fa e di loro non s’era saputo più nulla. Conclusione: non è un caso che quei cadaveri vengono tirati fuori proprio il giorno in cui si riunisce il Consiglio di Sicurezza dell’Onu per discutere ancora una volta del caso siriano. Ma stavolta, sulla base di una bozza di risoluzione che, contrariamente alle precedenti, per poter incassare anche il voto di Russia e Cina, i grandi protettori di Assad, non chiede la cacciata del raìs, ma un intervento umanitario a favore della popolazione, premessa indispensabile per instaurare una tregua e intavolare trattative.


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