Sequel di carta un nuovo Mister Gwyn di Baricco, così continuano i romanzi

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Può sembrare un vezzo. O meglio un ricciolo disegnato ad arte per compiacersi o compiacere il lettore. Ma quando ho visto la dedica nel nuovo libro di Alessandro Baricco: «A Caterina de’ Medici e al Maestro di Camden Town», mi sono ricordato che il Maestro di Camden Town è un tipo che compare nel precedente romanzo di Baricco: un vecchio ed eccentrico signore, impareggiabile artigiano nel costruire le Caterine de’ Medici, lampadine che diffondono una luce un po’ speciale. Un omaggio a un personaggio secondario? Qualcosa di più, se lo stesso Baricco avverte nella nota iniziale che Tre volte all’alba (appena uscito da Feltrinelli) è il sequel (anche se lieve e lontano) di Mr Gwyn. Dove in effetti si accenna a uno scrittore angloindiano che dà  vita a un libro intitolato Tre volte all’alba. 
Mi colpiva che anche Alessandro Piperno – con Il fuoco amico dei ricordi – abbia creato un romanzo sulla struttura del sequel. E che l’abbia fatto Edoardo Nesi, in tre libri legati tra loro: ne L’età  dell’oro, il protagonista è Ivo Barrocciai imprenditore tessile, che torna in un capitolo di Le nostre vite senza ieri. Tra i due libri, come un filo, c’è Storia della mia gente dove tornano i temi delle piccole industrie. 
Aprendo Tuttestelle di Aurelio Picca ho l’impressione che la storia mostri una certa continuità  con Se la fortuna è nostra, la piccola e intensa saga familiare specchio di un’Italia ancora in bilico tra i valori contadini e devastazione industriale. Infine c’è Paolo Sorrentino: in Hanno tutti ragione il protagonista è Tony Pagoda, che tornerà  nella sua prossima raccolta di racconti.
Il sequel, si sa, è una modalità  narrativa duttile. Nell’Ottocento prese la forma del feuilleton. Dumas, Zola, lo stesso Flaubert, diedero vita a storie la cui evoluzione temporale affascinava i lettori. Furono poi i generi, come il noir, a impadronirsi di quella maniera, un po’ seriale, di dare appuntamento al lettore. Ne scaturirono avventure pregevoli: da Conan Doyle ad Agatha Christie. Più recente il fenomeno di creare sequel dai romanzi di successo. Non mi pare che funzioni, come dimostrano la continuazione di Via col vento e quella di Orgoglio e pregiudizio. Nel caso invece dei nostri scrittori italiani si avverte un gioco più sottile e autoreferenziale, più o meno involontariamente debitore di un certo format televisivo. Chi ha visto le fiction della Hbo, nei quali perfino Martin Scorsese si è cimentato con grande raffinatezza e successo, può intuire quanto la televisione sia diventato un mezzo narrativamente efficace. Tanto da far dire a molti critici che il romanzo è rinato grazie agli episodi della Hbo. Che sono seriali e sequel al tempo stesso. Ripetono la presenza dei personaggi e insieme ne sviluppano le storie.
E allora ho l’impressione che l’operazione di Piperno, Baricco, Nesi, Sorrentino, Picca (e a un livello più globale viene da pensare a Zuckerman di Philip Roth, o 1Q84 di Murakami) sia sensibilmente diversa da quella lanciata qualche anno fa da Moccia con il sequel di Tre metri sopra il cielo. In quel caso la furbizia letteraria (sulla quale non ho nulla da eccepire) cercava di ripetere un successo clamoroso. Mentre qui il sequel serve a illuminare qualcosa che dalla storia è rimasto fuori. E lo si coglie nei tre raccontini di Baricco che invito a leggere non solo in quanto belli, ma anche perché quel ricciolo, di cui parlavo all’inizio, è una sorprendente piega barocca: una digressione notturna dalla strada luminosa di Mr Gwyn. 
Oltretutto, Tre volte all’alba mostra una curiosa struttura sequel. Tra i racconti cogliamo una relazione temporale. Ma senza evoluzione, senza che il lettore ritrovi i personaggi nel punto dove erano stati lasciati. Alla fine ci accorgiamo che sono sempre gli stessi: visti in luoghi e tempi diversi. Prima invecchiati, poi ringiovaniti, infine adulti. Baricco non segue un ordine naturale. Ogni stagione della loro vita è segnata da una decisione da prendere, da un legame da sciogliere o creare. «Queste pagine», scrive l’autore, «raccontano una storia verosimile che, tuttavia, non potrebbe mai accadere nella realtà ». Nella realtà , in effetti, il tempo è lineare: c’è un presente, dove prima c’era un passato. E seguirà  un futuro. Invece la vita del racconto (o del romanzo) può tranquillamente sconvolgere le strutture temporali. In fondo, Dio poteva cominciare a fare il mondo dal settimo giorno, anche se iniziò dal primo. Nella teologia di ogni scrittore risiede il potere di sconvolgere i piani narrativi. È nella sua natura, forse perfino tra i suoi compiti. Con Tre volte all’alba, Baricco prende un filo di Mr Gwyn e lo tira. Non sa esattamente cosa ci sarà  all’altro capo. E quando finalmente lo scopre intuisce che non era lui a muoverlo, ma lo stesso Mr Gwyn. Troppo complicato, dirà  qualcuno. Ma no. È di una complicata semplicità  il lavoro che ci si dispiega. Baricco spende la parola “verosimile”. Intendendo che ciò che ha raccontato non è falso, ma non è neppure vero. Non è ciò che accade, ma ciò che può accadere, (come del resto pensò Aristotele). Se non ci fosse il verosimile che ne sarebbe dell’immaginazione? La potenza di un racconto è nella capacità  di rendere “vero” ciò che non lo è. E allora anche le frasi più scontate messe nel frullatore dell’immaginazione acquistano un’altra lucentezza. Nel primo dei tre racconti si accenna al fatto che nessuno cambia mai veramente. Come si è da piccoli, così si resta tutta la vita. Eppure il desiderio di cambiare è un impulso che ci accompagna. Vorremmo a volte ricominciare da capo. Ma non si può: «cambiare le carte è impossibile, non resta che cambiare il tavolo da gioco», sentenzia un personaggio. Ci sono esempi in letteratura che smentirebbero questa frase. Gente che cambia, che si redime o si perde: come Jean Valjean o Madame Bovary. Ma Baricco ci vuole dire un’altra cosa, che del resto avevamo notato nel precedente romanzo, quando Jasper Gwyn scrittore di successo decide a un certo punto di abbandonare la scena letteraria. Anche lui vuole ricominciare da capo. Ma non lo fa scegliendo il silenzio, bensì cambiando tavolo da gioco. Forse Mr Gwyn conosce l’arte sottile del compromesso. Come i sequel, sempre rassicuranti, che vogliono mettere d’accordo ciò che eravamo con ciò che diventeremo.


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