SENZA POLITICA

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Il pensiero di Pierre Bourdieu, a dieci anni dalla scomparsa, è ancora “in movimento”, eccome, lo ammette con magnanimità , anche Le Monde, che non fu per niente risparmiato dalle critiche terribili del sociologo francese, aggressivo come nessun altro nei confronti del giornalismo dei “cani da guardia” del potere, categoria dalla quale lui escludeva ben pochi. Infatti la vastissima produzione di questo grande sociologo ha molto da dire, anche in Italia, non solo per la sua straordinaria forza teorica, ma per una ragione più precisa: la ritirata della politica, che concede all’economia, alla ricchezza, alle ineguaglianze molto più terreno che nel secolo scorso, mette a nudo le differenze sociali, le mostra in una luce cruda, ne fa lo spettacolo centrale e urticante della vita pubblica. È in crisi quel vitale scorrere di idee, di impegno pubblico, di progetti politici e ideologici, quella vasta coreografia di récits, che avvolgeva le differenze, le poneva in una luce congiunturale, ne attenuava il peso, anche perché ne prometteva la riduzione. La desertificazione della politica fa sentire di più il male delle distanze sociali, che sono anche obiettivamente cresciute, e cancella le pur vaghe promesse di qualche rimedio prossimo venturo.
L’obiettivo di Bourdieu è stato quello della decifrazione, misurazione e proclamazione delle relazioni di potere (di dominio) tra gli esseri umani in società : l’oppressione simbolica che rinforza quella materiale, il comando che non ha bisogno di esprimersi come tale dall’esterno perché agisce interiormente e produce sottomissione e adattamento. La mappa sociale di Bourdieu è un sistema di coordinate che serve a decodificare le differenze, a esplicitare distanze nei redditi, nella cultura, nei consumi, nel linguaggio, nel gusto, nella postura, nel modo di mangiare e bere, nel capitale economico e in quello intellettuale, nel patrimonio di relazioni sociali e nel saper fare incorporato nell’habitus. 
L’autore della Misère du monde e della Distinction coglie le differenze nel momento in cui l’ideologia le traveste da scelte o le attenua per non ferire, svela il rimosso della sofferenza simbolica, calcola gli imbarazzi mortali del mercato immobiliare, della casa impresentabile, dell’abito inadeguato, delle parole sbagliate, o della vertigine che separa il gruppetto sofisticato di intellettuali lacaniani dal grossista di provincia che racconta con entusiasmo le sue imprese sessuali. 
Oggi una rappresentazione sociologica così pungente delle distanze simboliche, troverà  un terreno più fertile di dieci e venti anni fa perché il processo di impoverimento della politica ha messo allo scoperto, senza il colorato make-up dell’ideologia dei grandi movimenti storici, politici o confessionali, le asimmetrie che fanno insopportabili tante differenze di stipendi, di status e di bonus, di opportunità . E non si trattava solo di efficace cosmesi: l’oppressione simbolica e materiale era più sopportabile quando qualcuno sulla scena pubblica ne faceva intravedere la fine, era un po’ più morbida quando la mobilità  e le speranze di ascesa individuale o di gruppo erano più realistiche. 
Bourdieu partecipò in prima persona alle battaglie politiche per costruire una società  più solidale, al riparo dalla violenza simbolica, dalle «esperienze di destituzione» che umiliano e consumano umanità  e invitò sempre ad accendere Controfuochi per tenere viva la resistenza contro un potere finanziario, percepito come il «naturale svolgimento delle cose». Ma non fu certo solo un testimone di impegno. Le sue idee e il suo lavoro, sociologico e filosofico hanno scavato in profondità  in diversi ambiti, illustrando con fulminanti illuminazioni e con lavori meticolosi sul campo (la scuola, il potere e le sue istituzioni, la formazione, o meglio «consacrazione», delle élites) come il senso della vita e della morte si produca per ciascuno di noi all’interno della società , come la società  stessa sia il più forte competitore di Dio nell’erogare le sfide, gli obiettivi, le poste in gioco, i riconoscimenti che ci tengono al riparo dall’indifferenza e dal vuoto, che alimentano la nostra azione in una corsa permanente, che ci fa sentire dotati di qualche compito e di qualche senso. 
Anche la lezione inedita al Collège de France del dicembre del 91 è ispirata dalla filosofia pascaliana dell'”imbarco”, di quella “Illusio” che ci tiene in gioco, che ci fa sentire parte di una impresa che ci è data, senza che ci sia stato il momento di deciderla. L’area dell’impresa è inscritta dentro un “campo” che ci assegna fin dall’inizio concorrenti, alleati, mete e premi, e che ci costringe a strategie di lotta per vincere o semplicemente per sopravvivere. È vero per la carriera di un agricoltore come per quella di un filologo romanzo. Il contesto da cui nascono le idee non è per Bourdieu, come invece era per Marx, quello delle relazioni economiche e delle lotte tra le classi. Qui l’economia mantiene la sua importanza nel modellare i contesti, ma sono le lotte interne ai singoli “campi” a decidere chi vincerà , nell’arte come nella filosofia. La storia delle idee è la storia di questi campi. E anche le classi non hanno più un profilo oggettivo e deterministico, ma hanno piuttosto il carattere di indicatori di un destino “probabile”, sono “classi probabili”, che condizionano vischiosamente gli individui, ma non ne definiscono compiutamente l’esistenza. A risolvere l’enigma sociale del rapporto tra individuo e società , tra oggettività  di una posizione sociale, dove è dato in sorte di nascere, e la soggettività  di ogni singolo attore è l’invenzione trascendentale dell'”habitus”, chiave di volta della costruzione bourdieusana, vale a dire quell’«insieme durevole di disposizioni» attraverso le quali gli individui percepiscono e incorporano i ruoli sociali. È l'”habitus” a spiegare come e perché le gerarchie sociali godano di una certa stabilità  e perché le relazioni di dominio simbolico non siano sempre sul punto di essere spazzate via da una ribellione, individuale o collettiva. Inerzie e strategie che spingono gli esseri umani a interiorizzare le condizioni oggettive, a lavorare di lima e di mediazione tra le aspettative che fioriscono entro di loro e le possibilità  effettive alla loro portata. È un’area di adattamenti possibili ma anche di sofferenze estreme e distruttive, quando la frustrazione e la pressione del dominio simbolico superano i limiti di guardia. La sociologia di Bourdieu continuerà  ad alimentare ricerche. Ci sarà  utile anche per far luce sulla paralisi della politica. Una migliore visione della sofferenza sociale può aiutarne il risveglio.


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