by Editore | 27 Marzo 2012 8:42
Dove c’è la guerra compare sempre il denaro, e dove c’è il denaro compaiono sempre le armi. E non compaiono solo dove c’è la guerra e dove c’è il denaro. Le armi abbondano anche nei luoghi più miserabili del pianeta.
Nei centri urbani dove manca tutto e impera la carestia, dove i bambini non hanno latte, i giovani non hanno libri e la fame è una cosa di tutti i giorni, quello che non manca mai sono le armi. Pistole e revolver, fucili e mitragliette, lanciagranate e altre armi portatili sono una presenza tragicamente comune nei quartieri poveri di tutto il mondo.
Abbondano anche in quelle parti del mondo dove c’è solo fame, sete e morte. Nei villaggi e nelle città del Sudan o dello Yemen, nelle foreste della Colombia o dello Sri Lanka, nelle montagne del Congo, dell’Afghanistan o della Cecenia manca tutto. Ma non le armi. Armi che ogni anno provocano mezzo milione di morti.
La Small Arms Survey è un’iniziativa del Centro di studi internazionali di Ginevra specializzata nell’analisi dei mercati e delle conseguenze del commercio internazionale di armi leggere. I ricercatori della Small Arms Survey calcolano che ci siano 875 esemplari di armi leggere in giro per il mondo, prodotte da oltre 1.000 aziende in più di 100 Paesi, per un mercato che muove 7 miliardi di dollari all’anno. Gli esperti sono d’accordo che il principale ostacolo per ridurre le stragi provocate dalla proliferazione di armi portatili è la mancanza di informazioni. L’anonimato nella fabbricazione e compravendita di armi e il segreto mantenuto sulla destinazione, le quantità e le tipologie di armi che vengono commercializzate ha reso più difficile applicare politiche in grado di mitigare il problema e ostacola gli sforzi internazionali necessari per fronteggiare una minaccia che non tiene conto delle frontiere nazionali. Con la fine della guerra fredda e l’accelerazione della globalizzazione si sono intensificate due tendenze che rendono ancora più complicato il problema delle armi leggere e l’accesso alle informazioni: la proliferazione e la privatizzazione.
Oggi ci sono più fornitori e compratori che mai e gli acquirenti sono sempre più spesso clienti «privati» come ribelli, guerriglieri, terroristi e bande criminali, invece che Governi o forze armate regolari.
L’incremento dell’offerta di armi è considerevole: prima, le imprese che fabbricavano armi leggere non erano più di qualche centinaio. Oggi sono più di mille e la cifra va aumentando. Prima erano insediate in un numero relativamente ristretto di Paesi, oggi sono ovunque. Prima erano appendici dei governi, anche se formalmente erano aziende private.
Ora il controllo dei Governi o delle forze armate sulla produzione di armi si è allentato e ci sono imprese transnazionali che di fatto agiscono in maniera del tutto indipendente dai Governi, e questo fa sì che gli acquirenti di armi leggere oggi possano contare su una quantità di fornitori senza precedenti.
Lo stesso succede sul versante della domanda: il numero di clienti e la richiesta di armi leggere è in aumento. Paradossalmente, tutto questo succede proprio in un momento in cui le guerre tra Paesi sono diminuite (a partire dagli anni 90, i conflitti armati fra nazioni sono diventati sempre più rari). Ma sta succedendo il contrario per quanto riguarda i conflitti all’interno dei Paesi, e abbiamo visto come siano aumentate le guerre civili, le insurrezioni, gli scontri armati tra fazioni politiche. La Primavera Araba, per esempio, ha prodotto uno «shock» di domanda sul mercato delle armi leggere. In Siria, prima della crisi, un Kalashnikov si poteva comprare sul mercato nero per 1.200 dollari; ora costa più di 2.100 dollari.
Tutto questo non significa che i Governi e le forze armate regolari non continuino a essere i protagonisti principali del mercato internazionale delle armi leggere. Gli Stati Uniti e l’Europa sono i maggiori produttori ed esportatori. Paradossalmente, però, i Governi di questi Paesi sono quelli che si stanno impegnando di più per contenere il boom mondiale di questo tipo di armamenti. Siamo abituati all’ipocrisia nelle relazioni internazionali: a volte l’unica conseguenza sono discorsi noiosi senza effetti di rilievo, ma nel caso dell’indolenza della comunità internazionale rispetto alla proliferazione delle armi leggere, e dei Paesi e delle aziende che sulle armi leggere ci guadagnano, l’ipocrisia produce conseguenze letali.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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