SE L’EBREO ERRANTE LEGGESSE GLI E-BOOK

by Editore | 30 Marzo 2012 5:59

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Da bambino, non distinguevo chiaramente tra la mia propria identità  e quella che i libri creavano per me. Non distinguevo, cioè, coscientemente tra i ruoli che i libri inventavano per me (Sinbad o Crusoe per esempio) e quelli che mi derivavano da circostanze familiari e o da dotazione genetica. Io ero quel protagonista di cui leggevo e sognavo, mentre il mondo dei libri usciva dalla pagina per inondare la realtà  convenzionale e viceversa. Lo spazio era quello che attraversava il magico tappeto di Sinbad e il tempo erano i lunghi anni che Crusoe aveva trascorso in attesa di essere salvato. Più tardi, quando la differenza tra la vita di ogni giorno e le storie notturne si insinuò in me, mi resi conto che, in una certa misura, grazie ai miei libri, mi erano state date le parole che rendevano comprensibile la prima e decifrabili le seconde, offrendo in entrambi i casi una certa consolazione. Può essere che, di tutti gli strumenti che ci siamo inventati per aiutarci lungo il cammino della conoscenza di noi stessi, i libri siano i più utili, i più pratici e i più concreti. Prestando parole alla nostra sbalorditiva esperienza, i libri diventano le bussole che segnano i quattro punti cardinali: mobilità  e stanzialità , introspezione e tensione verso l’esterno. L’antica metafora che vede il mondo come un libro che leggiamo e in cui noi stessi siamo letti, semplicemente riconosce questa qualità  di guida e di orientamento. In un libro, nessun punto è esclusivamente il nord, infatti, se anche ne scegli uno, gli altri rimangono attivamente presenti. Persino dopo che Ulisse è tornato a casa per trovare pace, Itaca resta un porto di scalo sulle coste di un mare allettante, uno degli innumerevoli volumi della biblioteca universale.
Dante, cercando la suprema visione dell’amore che tiene «legato in un volume ciò che per l’universo si squaderna», sente il suo desiderio e la sua volontà  virare verso quell’amore «che muove il sole e le altre stelle» («Ma già  volgeva il mio disio e l’velle/sì come rota ch’igualmente è mossa/l’amor che move il sole e l’altre stelle»). È così anche per il lettore che, alla fine, trova la pagina scritta per lui, una parte di quell’enorme, mostruoso volume formato da tutte le biblioteche e che dà  un senso all’universo. Ciononostante, quasi tutte le rappresentazioni dell’Ebreo Errante lo mostrano senza libri, impegnato a cercare la salvezza in un mondo di carne e pietra, non in quello delle parole. Questo suona sbagliato. Nella più popolare delle versioni romanzate, il feuilleton ottocentesco di Eugène Sue, il tema centrale è quello del malvagio complotto gesuita per governare il mondo; l’impresa intellettuale del Vagabondo senza tempo non viene esplorata. Nel vagabondaggio di Ahasverus, secondo questo autore, le biblioteche sono principalmente ambienti conviviali in case aristocratiche, mentre i libri o sono trattati bigotti o perversi cataloghi di peccati sotto l’apparenza di manuali gesuiti per la confessione. Ma è difficile credere che un Dio misericordioso condannerebbe qualcuno a restare in una sala d’attesa di dimensioni mondiali senza qualcosa da leggere. Invece, m’immagino Ahasverus al quale sono stati garantiti duemila anni di lettura itinerante; lo immagino visitare le più grandi biblioteche e librerie del mondo, esausto a furia di riempire la sua borsa di libri con tutte le ultime novità  uscite durante i suoi viaggi, da Il Milione di Marco Polo al Don Chisciotte di Cervantes, da Il sogno della camera rossa all’Orlando di Virginia Woolf, in cui (come ogni lettore) troverà  tracce del proprio curioso destino. 
Avvicinandosi ai nostri tempi, per non essere troppo carico, il nostro Vagabondo viaggerà  forse con un e-book che periodicamente ricaricherà  negli internet caffé. E nella sua testa di lettore, le pagine, stampate e virtuali, si mescolano e si sovrappongono e creano nuove storie dalla quantità  colossale di memorie e di letture ricordate solo in parte, moltiplicando a migliaia i suoi libri, e poi ancora ed ancora. Eppure, persino nella Biblioteca Universale, l’Ebreo Errante, come il Lettore Ideale, non potrà  mai essere soddisfatto, non potrà  mai essere confinato nel perimetro di una sola Itaca, di una sola ricerca, di un solo libro. Per lui, l’orizzonte di ogni pagina deve sempre ௿½ per fortuna, diciamo noi ௿½ superare la sua comprensione e il suo spirito, così che da ogni ultima pagina nasca sempre una nuova prima pagina. Poiché, come abbiamo detto, ogni libro una volta terminato ci conduce ad un altro che giace in paziente attesa, e ogni rilettura garantisce al libro una nuova vita in forma diversa. La biblioteca di Ahasverus (che, come tutti i migliori lettori, la porta in gran parte con sé nella propria testa) riecheggia attraverso una galleria di specchi che rimandano commenti e glosse di ogni testo. Ogni biblioteca è una biblioteca fatta di ricordi: in primo luogo perché conserva le esperienze del passato e in secondo luogo perché vive nella testa di ogni lettore. L’Ebreo conosce bene questa pratica.

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