Se la deterrenza ha funzionato per l’Urss perché non usarla anche con l’Iran?

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Uno dopo l’altro, si diedero il cambio nel ripetere un unico slogan: «Il deterrente è una menzogna!». Mentre ascolto i dibattiti sulle mire nucleari dell’Iran, mi torna in mente quell’incontro infuocato e osservo uno strano rovesciamento dei ruoli nell’attuale discorso sulla politica estera. Un tempo era la sinistra a respingere l’idea del deterrente, proponendo invece altre opzioni, come il congelamento della proliferazione nucleare. E toccava invece ai sostenitori di destra spiegare pazientemente virtù e vantaggi della deterrenza. «Ogni 25 anni, la nuova generazione scopre daccapo gli orrori dell’arma nucleare e i paradossi della deterrenza, e si impegna a cercare una via d’uscita. Ma dopo un po’ ci si stanca di minacciare l’apocalisse e di vagliare e scartare un’infinità  di alternative. Inevitabilmente, il dibattito si arena proprio laddove è iniziato: nell’affermare, ahimè, la necessità  di fare affidamento all’equilibrio del terrore per conservare la pace». Le parole sono di Charles Krauthammer, pubblicate sul New Republic nel 1984. «La deterrenza, come la vecchiaia, ci appare intollerabile, finché non si prendono in considerazione le alternative», spiegava l’analista politico.
Eppure oggi è la destra a essersi convinta che la deterrenza è una menzogna. Krauthammer, l’Heritage Foundation, l’American Enterprise Institute e altre istituzioni denunciano sia il contenimento sia la deterrenza, e vorrebbero spingerci verso una politica che conduce dritta alla guerra preventiva. È la versione di destra del congelamento nucleare, una soluzione semplice che in realtà  non risolve nulla. Un’aggressione contro l’Iran riuscirebbe, con ogni probabilità , a ritardare il suo programma nucleare di qualche anno, rafforzando al contempo l’appoggio popolare al governo di Teheran e fornendogli una giustificazione ancor più convincente per proseguire la corsa alle armi atomiche. Oggi in America ci sono conservatori di spicco che insistono su questa strada, dichiarandola preferibile alla deterrenza. La deterrenza è un concetto difficile da accettare perché paradossale: la minaccia della reciproca distruzione rinsalda la pace. Eppure il suo successo è indiscutibile. Le nazioni più potenti sono state dilaniate da guerre sanguinose a intervalli regolari per centinaia d’anni. Poi ha fatto la sua comparsa la bomba atomica e dal 1945 ad oggi non si registrano conflitti tra le massime potenze. Tra Stati Uniti e Unione Sovietica correva una rivalità  serrata e a tutto campo, come non si era mai verificato fino ad allora nella storia. Ciascuna temeva di essere annientata dall’altra. Eppure questa rivalità  non è mai sfociata in un conflitto aperto, perché la deterrenza è riuscita a tenere a bada entrambe le parti.
Nel 1989, alzando il calice in un brindisi a Mikhail Gorbaciov, Margaret Thatcher disse: «I nostri due Paesi sanno benissimo, per amara esperienza, che le armi convenzionali non possono impedire una guerra in Europa, mentre l’arma nucleare c’è riuscita per oltre quarant’anni. Come deterrente, non abbiamo altra scelta».
Se la deterrenza non funziona, allora perché non ci prepariamo a una guerra preventiva contro la Russia, che possiede ancora un pauroso arsenale di missili balistici intercontinentali? O contro il Pakistan, governato da un regime militare-spionistico coinvolto in tanti gravissimi atti di terrorismo negli ultimi dieci anni, più di quanti ne abbia annoverati l’Iran in un intero secolo? La tesi che l’Iran possa essere fermato dal deterrente atomico non poggia sulla razionalità  dei suoi vertici, bensì sul desiderio di sopravvivenza del regime. «Chi governa vuol continuare a farlo» sostiene Kenneth Waltz, tra i massimi teorici di relazioni internazionali.
Per rafforzare la sua credibilità  presso la critica conservatrice e l’attuale governo di Israele, il presidente Obama si è lasciato convincere e ha scartato l’idea del contenimento, insistendo sulla serietà  delle sue minacce e invitando le parti a cogliere uno «spiraglio» di opportunità  per sedersi al tavolo dei negoziati. Questo potrebbe rivelarsi un grave errore, in quanto mette gli Stati Uniti con le spalle al muro, limita le alternative di Obama e lo spinge su una strada che potrebbe portare a un’inutile guerra di prevenzione.
È comprensibile che la prospettiva della bomba atomica in mano agli iraniani susciti non poche angosce. Sarebbe senz’altro meglio per Israele, per il Medio Oriente e per il mondo intero se Teheran non si dotasse di queste armi. Gli sforzi degli Stati Uniti — in pieno accordo con quasi tutta la comunità  internazionale — per ostacolare la corsa al nucleare e tenere sotto pressione Teheran, rappresentano la scelta politica giusta. Ma se Teheran dovesse insistere, se il suo regime accettasse l’isolamento globale e i costi paurosi derivanti dalla sua decisione, una robusta politica di contenimento e di deterrenza potrebbe funzionare contro l’Iran, come ha funzionato contro l’Unione Sovietica di Stalin, la Cina di Mao, la Corea del Nord di Kim Jong-Il e il regime militare pachistano.
(Traduzione di Rita Baldassarre)
(c) 2012, Washington Post Writers Group


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